Fonti vicine agli attivisti, che mancano da cinque grandi città tra cui Pechino, riferiscono che sono stati portati via durante un’operazione condotta dalle autorità di governo. Due precedenti simili si erano verificati la scorsa estate
Mistero in Cina sulla sorte di almeno 12 studenti, che sostengono i diritti dei lavoratori. Fonti vicine agli attivisti riferiscono che sono stati portati via da uomini non identificati nel corso di un’operazione condotta dalle autorità cinesi in diverse città, tra cui Pechino, Shanghai, Guangzhou, Wuhan e Shenzhen. Uno studente dell’Università di Pechino, di nome Yu Tianfu, si legge sul New York Times, ha raccontato che dopo un’irruzione nel campus, un suo compagno di studi, di nome Zhang Shenye, è stato picchiato e caricato su un’auto. Con modalità simili, gli attivisti, molti dei quali sono neolaureati in università d’élite, sarebbero stati radunati nei campus delle altre città e portati via. Una conferma della detenzione di alcune persone è arrivata alla Reuters da parte di un portavoce dell’ateneo pechinese, uno dei più rinomati della Cina.
Imbarazzo nel governo cinese
Ci sarebbe imbarazzo tra le autorità cinesi. Gli attivisti scomparsi infatti si descrivono come marxisti e maoisti, in un Paese dove le università, tra cui proprio quella di Pechino, hanno corsi di marxismo, e dove il presidente cinese, Xi Jinping, aveva definito Karl Marx "assolutamente corretto” in occasione di un discorso tenuto a maggio scorso per celebrare i duecento anni dalla nascita del filosofo tedesco. "E' paradossale vedere come gli studenti che hanno studiato e creduto nel marxismo siano stati fermati dalle autorità cinesi per il sostegno ai lavoratori, il valore fondamentale del marxismo", ha commentato al Guardian Patrick Poon, attivista di Amnesty International a Hong Kong. "Gli studenti stanno solo dimostrando la loro libertà di espressione e mostrando la loro solidarietà ai lavoratori. Dovrebbero essere rilasciati immediatamente”.
I precedenti
Un'operazione simile era già stata compiuta la scorsa estate: il 27 luglio erano stati fermati circa trenta dipendenti del gruppo Jasic Technology di Shenzhen, nel sud-est della Cina, che avevano tentato di costituire una cellula sindacale, mentre altri quaranta attivisti studenteschi che sostenevano i diritti dei lavoratori sono stati presi in consegna dalle forze dell'ordine ad agosto. Secondo l'organizzazione a difesa dei diritti dei lavoratori, China Labour Bulletin, di almeno undici di loro si sa che si trovano in stato di fermo o agli arresti domiciliari: tra i fermati c’è anche Yue Xin, tra le prime attiviste del movimento Me Too in Cina. L'iniziativa dei dipendenti della Jasic, spiega China Labour Bullettin, era stata coronata da un successo imprevisto per le autorità: i lavoratori avevano raccolto in soli due giorni 89 firme (circa il 10% dei dipendenti) per la costituzione di un sindacato interno all'azienda. L'unica sigla sindacale ammessa in Cina è la All China Federation of Trade Unione, filo-governativa e spesso dalla parte della gestione delle aziende: le sigle indipendenti sono vietate.