Al via il nuovo round di misure contro l’economia degli ayatollah. È l’inizio dell’ennesima escalation di tensione tra Washington e Teheran, anche se le ragioni di questa mossa non sono geopolitiche ma rispondono a una logica di politica interna. Di entrambi i paesi
"Le sanzioni all'Iran sono le più dure che il nostro Paese abbia mai imposto, vedremo cosa succede”. Con queste parole Donald Trump ha sferrato l’ennesima picconata all’eredità obamiana. Cancellata la distensione con la repubblica degli ayatollah, le relazioni (o meglio: l’assenza di) tornano più o meno al clima di metà anni ’80. E infatti anche da parte di Teheran è riaffiorata la propaganda contro il “Grande Satana”, il “nemico sionista”, e le manifestazioni con decine di migliaia di persone che inneggiano alla distruzione degli Usa.
Forse è arrivato il momento di fare qualche riflessione su che cosa sta succedendo e dove stiamo andando. Uso il verbo alla prima persona plurale perché anche noi, come Italia, siamo coinvolti. Come al solito a metà del guado: trumpiani a parole, ma con le mani in pasta nei fatti. Non a caso siamo tra i possibili 8 paesi che potranno ancora (per un po’) commerciare con il greggio persiano.
Già, ma resta la domanda: dove stiamo andando?
Andiamo dritti verso l’ennesima escalation di tensione Washington/Teheran, e all’inasprimento delle relazioni tra Occidente e un importante protagonista dello scenario mediorientale.
Un attore che ha un ruolo di primo piano in Iraq, Libano, Yemen, Qatar e in parte anche in Afghanistan. Per non parlare della Siria, dove i suoi corpi speciali – i leggendari e temuti basiji – hanno svolto un ruolo di primo piano. Da non dimenticare poi il fatto che, essendo sciiti, gli iraniani sono i primi nemici dello Stato islamico e del terrorismo di matrice islamista.
Qui non si vuole scrivere la difesa degli ayatollah. Ma forse dovremmo andare un po’ oltre gli stereotipi che la stampa per prima ci ha propinato per anni. Rappresentare l’Iran attraverso le adunate dei predicatori è come dipingere l’Italia con Pulcinella e il mandolino. Perché sì, d’accordo, è una teocrazia: ma non è l’unica nell’area, e comunque tutela le minoranze religiose come quelle ebraiche zoroastriane e cristiane in modi che altri paesi dell’area neanche immaginano. Molti ignorano il fatto che ci vive la più grande comunità ebraica del medio Oriente (dopo Israele, ovviamente). È vero, la tutela dei diritti umani e civili è ben lontana da livelli accettabili. E le donne continuano a essere represse. Ma bisogna anche ricordare che in Arabia Saudita ed Egitto non si vive meglio, e che la Turchia sta pericolosamente scivolando verso questa china.
Insomma, per essere chiari: non sono questi i parametri con cui l’Occidente valuta la presentabilità o meno di un partner commerciale e/o strategico. Se così fosse, dovremmo chiudere ogni contatto con la Cina, dove le condanne a morte sono 3.000 l’anno, secondo Amnesty International, e dove il controllo dell’opinione pubblica è la rappresentazione plastica dell’incubo orwelliano.
Altro elemento: in un Medio Oriente pressoché monopolizzato dalla cultura araba e islamica l’Iran, insieme alla Turchia e Israele, rappresenta un’eccezione. È persiano e sciita duodecimano, cioè seguace di una branca minoritaria dell’Islam. Sarebbe l’alleato ideale dell’Occidente, anche perché – andando oltre gli stereotipi – l’Iran ha anche una lunga e radicata tradizione “laica”. Basti avere accesso alla borghesia delle città, per vedere modelli di vita molto più simili ai nostri che non – per dire – in Marocco.
Eppure l’Iran è ancora il nemico numero uno dell’Occidente.
Naturalmente le responsabilità non sono mai da una parte sola. L’Iran interferisce in altre aree, eccome. Pasticcia col nucleare, al di là delle dichiarazioni (mendaci) su “programmi civili”. Flirta con paesi che definire impresentabili è un eufemismo. Ma tra questi c’è la Corea del Nord, ora lodata per il “coraggio” del suo leader Kim Jong un dallo stesso Trump.
Ci sono antichi rancori reciproci, d’accordo. Ma ci dovrebbero essere anche con la Russia (di fatto la Persia era una sorta di paese vassallo degli zar), eppure mai come oggi i due paesi vanno d’accordo.
Forse anche in questo caso si tratta di un gioco a reciproco vantaggio. Trump soffia sulla propaganda anti-Iran per vellicare le ali più radicali del suo elettorato, rafforza la sua immagine da macho-man della politica estera (cui resta solennemente disinteressato) e recupera i consensi.
E lo stesso vale per gli ayatollah, dove il tracollo dell’economia, la gestione clanica del potere e la repressione trovano una giustificazione nella lotta al titano americano.