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Nadia Murad, da schiava dell'Isis a premio Nobel per la Pace

Mondo

La 25enne yazida ha provato sulla sua pelle l'orrore dello stupro come arma di guerra e, dopo la fuga miracolosa, ha raccontato in un'autobiografia gli orrori che è stata costretta a subire. Oggi è “ambasciatrice di buona volontà” delle Nazioni Unite

Nadia Murad è stata una schiava sessuale dei miliziani dell'Isis e ha provato sulla sua pelle l'orrore dello stupro come arma di guerra. Un'atrocità che, dopo essere riuscita a scappare, ha voluto raccontare senza omettere nulla di ciò che ha subito affinché il mondo sapesse. Grazie a questo suo impegno, il 5 ottobre, si è meritata, insieme al medico congolese Denis Mukwege, il premio Nobel per la pace 2018.

Il calvario raccontato in un'autobiografia

La terribile esperienza di vita di Murad è stata raccontata in un'autobiografia, 'L'Ultima ragazza' (pubblicata da Mondadori quest'anno), nella quale testimonia le sofferenze subite della sua comunità, gli yazidi, considerati dal Califfato adoratori del diavolo. Tra le pagine del libro, la neo vincitrice del premio Nobel racconta come nel 2014 i miliziani dell'Isis siano arrivati a Kocho, il villaggio dove abitava nell'Iraq settentrionale, abbiano ucciso gli uomini, fatto scomparire le donne anziane e rapito lei con altre ragazze e bambini. Mentre era prigioniera, si legge nell'autobiografia, la ragazza è stata continuamente umiliata, brutalizzata, stuprata anche in gruppo: un inferno che sembrava senza fine e che ha minato la sua mente e il suo corpo.

Morte come unica fonte di liberazione

Nell'autobiografia, che vanta anche la prefazione del suo avvocato Amal Alamuddin Clooney, Mura racconta di aver invocato più di una volta la morte, considerata l'unica fonte di liberazione possibile. "A un certo punto - scrive - non resta altro che gli stupri. Diventano la tua normalità. Non sai chi sarà il prossimo ad aprire la porta per abusare di te, sai solo che succederà e che domani potrebbe essere peggio". Il tremendo calvario, però, non ha distrutto la sua dignità, né il suo istinto di sopravvivenza, grazie al quale è riuscita ad approfittare di un inaspettato colpo di fortuna. Un giorno, racconta, il suo carceriere per disattenzione non ha chiuso a chiave la porta della casa di Mosul in cui era prigioniera, così ha colto l'occasione ed è fuggita, trovando in sé un insperato coraggio che le ha permesso di salvarsi la vita e di ricongiungendosi con quello che resta della sua famiglia.

Ambasciatrice delle Nazioni Unite

Dopo aver raccontato la sua terribile esperienza Murad è diventata "ambasciatrice di buona volontà" delle Nazioni Unite e ha vinto numerosi primi, tra cui il Sakharov 2016 e il riconoscimento di Donna dell'anno 2016. Oggi la giovane persegue con tenacia il duplice obiettivo di divulgare il più possibile lo sterminio di migliaia di yazidi e di veder processati i suoi aguzzini. E intanto, anche grazie al suo impegno, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu che ha istituito un team investigativo per raccogliere le prove dei crimini dell'Isis.

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