Macedonia, il referendum sul nuovo nome fa flop: Ue e Nato più lontane

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Un momento delle votazioni del 30 settembre 2018 in Macedonia (Ansa)
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Fallisce la consultazione voluta dal premier Zoran Zaev. Alle 18.30 affluenza al 34,09%, ben al di sotto della soglia del 50% più uno. Il voto arriva dopo l'intesa raggiunta lo scorso giugno con Atene che ha messo fine a uno scontro che si trascinava dal 1991

È deluso il premier socialdemocratico macedone Zoran Zaev, dopo il fallimento del referendum da lui voluto sull'accordo con la Grecia per il nuovo nome del Paese ex jugoslavo. E non esclude elezioni anticipate. Alle 19 di domenica 30 settembre si sono chiusi i seggi, con l'affluenza che alle 18.30 - secondo la commissione elettorale - si è fermata al 34,09%: un dato ben al di sotto del 50% più uno previsto dalla legge. Alla consultazione si è arrivati dopo l'intesa raggiunta lo scorso giugno con Atene e che ha messo fine a una disputa che si trascinava dal 1991, decretando il nuovo nome per l'ex repubblica jugoslava: 'Repubblica di Macedonia del Nord'.

La disputa sul nome lunga 27 anni e l'accordo con la Grecia

La firma dello storico accordo tra Atene e Skopje ha concluso un'impasse che ruotava tutta intorno a un nome. Nel 1991 l’ex repubblica jugoslava ha iniziato a chiamarsi Macedonia, ma proprio questa scelta è stata al centro della disputa durata 27 anni. La Grecia ha infatti accusato i vicini di essersi appropriati indebitamente della denominazione che contraddistingue già la provincia settentrionale ellenica. In sostanza: i greci per lungo tempo si sono opposti all’entrata della Macedonia nella Nato e nell’Ue perché non accettavano che il Paese si chiamasse solo “Macedonia”, perché “Macedonia” è anche il nome della regione che si trova nel Nord della Grecia, proprio a Sud dello Stato della Macedonia. Da qui l'accordo che decreta in 'Macedonia del Nord' il nuovo nome, per dare il via all'integrazione del Paese con Bruxelles e con la Nato.

Il referendum e le prossime tappe in Parlamento

Il quesito referendario non si rifaceva direttamente al cambio del nome, ma recitava: “Sei favorevole a entrare nella NATO e nella Unione Europea, e accetti l’accordo tra Repubblica di Macedonia e Grecia?”. La comunità internazionale, inoltre, aveva posto il 'sì' come condizione prioritaria proprio per un’accelerazione del processo di integrazione euroatlantica della Macedonia. Ma il referendum era consultivo, non vincolante. Quindi, se è vero che Zaev ha investito molto sul fronte del “sì” per avere un sostegno popolare, è anche vero che questa votazione rappresenta solo una prima tappa dell’iter. Per cambiare il nome del Paese serve  comunque un’approvazione del Parlamento, con una maggioranza di almeno due terzi. La scarsa partecipazione alla consultazione ora, però, complica lo scenario.

Politici macedoni divisi sul referendum

Zaev aveva invitato i macedoni a votare a favore, per togliere il Paese dall'isolamento. Contrari, invece, il presidente Gjorgje Ivanov e l'opposizione conservatrice che, pur favorevoli all’integrazione, ritenevano l'accordo con Atene anticostituzionale e dannoso agli interessi nazionali del Paese. Oggi Hristijan Mickoski, il leader del principale partito di opposizione - l'alleanza conservatrice Vmro-Dpmne - si è astenuto dal voto proprio perché ha considerato la questione referendaria "manipolativa". Macedonia: appello Ue al voto, potete decidere vostro futuro

Il 'sì" sostenuto dalla comunità internazionale

Proprio perché il 'sì' al referendum avrebbe potuto far accelerare l'integrazione della Macedonia nell'Ue e nella Nato, nelle settimane prima del voto a Skopje si sono recati numerosi leader politici ed esponenti della comunità internazionale, da Angela Merkel a Donald Tusk. Tutti si sono schierati a sostegno del 'sì' all'accordo. La Commissione europea, intanto, ha iniziato l'analisi dei requisiti di Albania e Macedonia per l'avvio dei negoziati di adesione, previsto per giugno 2019. 

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