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Keep Calm And Carry On, o la vita ai tempi della Brexit

Mondo

Liliana Faccioli Pintozzi

Theresa May esclude in maniera categorica un nuovo referendum. I Laburisti di Jeremy Corbyn mantengono la porta aperta alla possibilità. L'opinione pubblica sembra, semplicemente, stufa. Ma i sondaggi raccontano che un voto, oggi, avrebbe un risultato diverso.

Keep Calm And Carry On. Mantenete la calma e andate avanti. Nel 1939, quando fu inventato dal Ministero dell'Informazione, questo slogan, così "intimamente" britannico, avrebbe dovuto sostenere il morale della popolazione in caso di invasione nazista. Nel 2018, e ancora di più in vista del 29 marzo 2019, fotografa al meglio un'opinione pubblica con poche certezze e molte domande, ancora spaccata rispetto all'Unione europea, ma unita dalla stanchezza per un dibattito che ha messo in luce la fragilità di una classe politica rapida nelle promesse e restia nei risultati.

Quando mancano pochissime settimane di negoziato, tutte le opzioni sono ancora sul tavolo; tutto è ancora in gioco; nulla è definitivo. Lo spettro del no-deal incombe sulla Manica, mentre l'ipotesi di un secondo referendum sulla membership europea torna a farsi strada.

C'è chi lo ritiene l'unico e ultimo strumento per uscire dall'impasse creata dal combinato disposto tra il voto del giugno 2016, che ha chiesto la Brexit, e il voto del giugno 2017, con il suo "parlamento appeso" e un governo senza maggioranza.

C'è chi, al contrario, lo vede come il fumo negli occhi: uccide la democrazia parlamentare e rappresentativa, è la teoria, e si cita Margaret Thatcher che, nel 1975, ammoniva: se avessimo lasciato decidere la popolazione non avremmo le leggi contro le discriminazioni razziali, l'aborto sarebbe illegale, e la pena di morte in piena operatività.

"Tornare al voto ammazzerebbe la fiducia dei cittadini nella politica", da un lato. "Se una democrazia non può cambiare idea smette di essere una democrazia", dall'altro. E quest'ultima citazione era di David Davis. Che pure, oggi, non dovrebbe voler tornare indietro.

Secondo l'ultimo sondaggio You Gov infatti questa volta il Remain vincerebbe con il 53% dei voti. Mentre il 45% della popolazione vorrebbe avere l'ultima parola su qualsiasi accordo il governo dovesse firmare, contro il 34% fiducioso della politica. La realtà sembra poi essere ancora più complessa.

Le variabili, con il passare dei giorni, si moltiplicano. Brexit hard o soft; accordo quale e come. Con quale governo, con quale maggioranza a Westminster.

Lo stesso fanno i fronti. C'è il braccio di ferro Londra-Bruxelles. C'è lo scontro, interno al partito conservatore,  tra i sostenitori del piano dell'esecutivo e i Brexiter più duri e puri; e tra i fan della Premier e quelli che, pur sostenendola, vorrebbero vedere un piano B rispetto al (moribondo) piano Chequers. E poi c'è la battaglia politica tra il governo della May e il Labour di Corbyn.

Ma a moltiplicarsi sono anche i teatri e le date. A decidere il futuro sarà la Conferenza dei Tories, la prossima settimana a Birmingham, che potrebbe vedere l'assalto a Downing Street e il cambio di leadership? O piuttosto saranno i Consigli europei di ottobre e novembre, che potrebbero terminare senza un accordo o con Londra costretta a piegarsi a tutte le richieste dei 27, e quindi con una messa in stato di accusa della May? O magari tutto tornerà a decidersi a Westminster, dove a dicembre si voterà sull'eventuale accordo, e in caso di sconfitta del governo - sotto il fuoco incrociato degli oppositori interni e delle opposizioni ufficiali - si andrebbe diretti a nuove elezioni?

Tutto, ad oggi, sembra possibile. Keep Calm And Carry On.

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