La Corte di Strasburgo ha stabilito che il sistema britannico di sorveglianza di massa operato su internet non rispettava la privacy dei cittadini e la confidenzialità dei giornalisti. Lo scandalo prese il via nel 2013, grazie alle rivelazioni della "talpa" Snowden
Il sistema britannico di sorveglianza di massa delle comunicazioni via internet, venuto alla luce nel 2013 nell'ambito dello scandalo Datagate, non assicurava il pieno rispetto della privacy e non garantiva sufficienti protezioni per il rispetto della confidenzialità dei giornalisti. L'ha stabilito la Corte europea dei diritti umani dopo che ong, giornalisti e attivisti avevano presentato un ricorso a Strasburgo. Questo nuovo capitolo del datagate prende il via dalle rivelazioni fatte da Edward Snowden a partire dal 2013, che hanno scoperchiato lo scandalo dell’agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti (Nsa) e dei programmi per la sorveglianza di massa operati dagli Usa a cui i britannici avevano accesso.
Lo scandalo Datagate
Lo scandalo soprannominato “Datagate” scoppia nel giugno del 2013 quando la “talpa” Edward Snowden, informatico, ex tecnico della Cia e consulente della Nsa, trasmette ai quotidiani Guardian e Washington Post documenti segreti dell’agenzia che dimostrano la raccolta indiscriminata di informazioni di milioni di cittadini americani (tramite intercettazioni telefoniche e internet). Da quel momento lo scandalo si allarga sempre di più, arrivando a coinvolgere servizi segreti di altri Stati, compresa la Gcgh (Government communications headquarters), agenzia di intelligence del governo britannico. Nel tempo, diverse sentenze hanno stabilito che queste operazioni violavano la privacy dei cittadini ed erano pertanto illegali. Ad esempio, un tribunale del Regno Unito ha stabilito nel 2015 che dal 2007 fino al dicembre del 2014 i servizi segreti britannici hanno usato illegalmente le informazioni raccolte attraverso il programma di sorveglianza globale attuato dagli Stati Uniti, anche controllando il traffico internet.