Nella Patria dell'Euroscetticismo si concretizza la rivincita dell'Unione europea, con il nodo del confine irlandese a fare da simbolo di quella che, per 30 anni, è stata una pace europea.
Storicamente e orgogliosamente euroscettici, i britannici una mattina di giugno si sono svegliati euforicamente brexiters solo per scoprire, 26 mesi più tardi, che la tanto vituperata Unione europea - con tutti i suoi difetti, con tutte le sue storture - era la garante dell'equilibrio istituzionale del loro Regno. Ed è uno smacco talmente forte che nessuno, nel paese, lo ha ancora ammesso, o messo nero su bianco.
Eppure è solo grazie all'Unione europea che, nel maggio del 1998, fu possibile firmare gli Accordi del Venerdì Santo che, per vent'anni, hanno tutelato e sponsorizzato la pace in Irlanda del Nord. L'Unione europea, che con il suo mercato unico - ovvero libertà di circolazione per merci, servizi, persone e capitali - ha permesso lo smantellamento di un confine segnato da check point e agguati, macchiato di lacrime e sfregiato dal sangue; l'Unione europea, che con la sua Corte di Giustizia ha rassicurato e fatto da ultima istanza tra popolazioni che, ancora oggi, ti dicono di "volere la pace ma non la riconciliazione, perché la conciliazione qui non c'è mai stata"; l'Unione europea, che con i suoi fondi ha sostenuto lo sviluppo economico della regione, favorendo - quando e dove possibile - anche un inizio di integrazione; l'Unione europea, che con la sua impostazione laica e il suo sogno autosufficiente ha stemperato gli scontri nazionali, e religiosi.
L'Unione europea, da cui il Regno Unito uscirà il 29 marzo 2019, e che adesso si trova a doverla sostituire con soluzioni alternative: perché l'Europa unita non era il problema, ma era la soluzione. Almeno, in questo caso.
Nell'aprile del 2017, all'ombra dei 99 muri che ancora oggi sfregiano Belfast, e lungo le strade di un confine che non esiste più da 30 anni, nessuno ci credeva veramente: la violenza, mi dicevano veterani dei Troubles e preti di frontiera, commercianti e professori, non tornerà, e anche se ci dovesse essere un referendum l'Ulster, nonostante tutto, voterebbe per rimanere nel Regno Unito.
17 mesi dopo, le posizioni sono decisamente più sfumate, e tanta sicurezza nessuno la può più sfoggiare. La questione del confine tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord si è rivelata la più spinosa, quasi impossibile da risolvere rispettando tutte le linee rosse stilate da Downing Street: nessun "hard border", traducibile come nessuna infrastruttura di confine, e allo stesso tempo uscita da mercato unico e unione doganale escludendo qualsiasi tipo di statuto speciale per l'Ulster. Escludendo, insomma, qualsiasi "confine" normativo nel mare che separa l'Isola di Smeraldo dalla Gran Bretagna.
Il famigerato piano Chequers del Governo May affronta la questione, ma non la risolve completamente. Perché se l'"area di libero scambio" immaginata dovrebbe eliminare la necessità di dazi sull'import-export di merci, mantenendo così aperta la frontiera, non si capisce come Londra potrebbe controllare la circolazione delle persone. Per dirla fuori dai denti: non si capisce come Londra potrebbe dar seguito alla "Brexit popolare", votata in primis proprio per dire "no" alla liberazione circolazione di italiani e spagnoli, polacchi e rumeni - qui definita "immigrazione" perché tutti, a turno, siamo immigrati per qualcuno, ma tutelata dalle regole comunitarie. Ovvero: in che modo Londra potrebbe controllare e regolare l'ingresso nel Regno Unito di un cittadino italiano che dovesse decidere di volare su Dublino tutelato dall'UE, spostarsi in macchina a Belfast grazie alla Common Travel Area che nessuno vuole mettere in discussione (una sorta di "mini mercato unico" e "zona Schengen" tra Regno Unito e Repubblica d'Irlanda), per poi volare su Londra senza alcun controllo - visto che si tratterebbe della versione locale di un Palermo-Roma. Per spiegarsi ancora meglio: come farà, Londra, a non mettere i controlli di confine né sull'Isola né in mare, e allo stesso tempo evitare che quel confine diventi un'enorme porta di ingresso non monitorata.
Questa, la domanda con il piano del governo. I Brexiters duri e puri devono ancora presentare la propria proposta - anche se l'ultra conservatore Jacob Rees-Mogg ha avuto il coraggio e la strafottenza politica necessari per scandire "faremo come durante i Troubles, non vedo il problema". I Laburisti, come spesso in caso di Brexit, si riparano dietro il ruolo di opposizione. Nella settimana che segna la ripresa dei lavori parlamentari, ci si rende conto che l'estate non ha portato consiglio. Il nodo resta lì, scioglierlo si rivela complesso, tutto sembra rimandato alle Conferenze di Tories e Laburisti previste alla fine del mese. Quando tutto, davvero tutto, potrebbe accadere: dalla conferma di Theresa May alla convocazione di elezioni anticipate, nei corridoi di Westminster nessuno esclude nulla, né - d'altra parte - sostiene nulla. La Brexit è stata facile (?) da - far - votare; ma attuarla è tutto un altro paio di maniche. E un certo Provocatore Biondo, ex Ministro degli Esteri, perenne candidato Premier, lo sa particolarmente bene.
Da parte sua, Bruxelles rimane a guardare, e si gode questa sorta di vendetta. Tardiva, certo. Ma un bagno di realtà per tutti coloro che, di ogni male, accusano l'Europa. Un bagno che, nel Regno Unito, nessuno ha ancora fatto; nessuno ha ancora urlato "il Re è nudo". C'è ancora tempo.