Putin, Erdogan e Rohani dal 2017 si incontrano alla ricerca di una soluzione al conflitto. Sullo sfondo i negoziati a Ginevra sotto l'egida Onu e gli Usa. Il 7 settembre nuovo incontro con al centro l'ultima roccaforte ribelle
Russia, Turchia e Iran. È l’asse che dal gennaio 2017 è impegnato nei negoziati per trovare una soluzione pacifica al conflitto in Siria. Da oltre un anno e mezzo i leader Vladimir Putin, Tayyip Recep Erdogan e Hassan Rohani sono i promotori del cosiddetto “processo di Astana”, la capitale del Kazakistan dove all’inizio del 2017 ha preso il via una serie di colloqui a cui hanno partecipato anche delegati del governo siriano, rappresentanti militari dei gruppi d'opposizione al regime di Bashar al-Assad, e un inviato speciale per l'Onu come osservatore. I colloqui di Astana affiancano quelli di Ginevra sotto l’egida dell’Onu tra rappresentanti del governo siriano e opposizione, che però finora hanno portato a un nulla di fatto. Intanto, Donald Trump ha appena lanciato un monito al regime di Assad a non provocare una nuova tragedia umanitaria in Siria nella regione di Idlib, ultima roccaforte anti-governativa nella parte occidentale del Paese. Le parole del presidente arrivano dopo l'annuncio del ministro degli Esteri siriano, Walid Muallem, di un nuovo summit trilaterale tra Russia, Iran e Turchia, previsto il 7 settembre a Teheran, che si focalizzerà proprio sulla liberazione di Idlib.
Preoccupazione per Idlib
A Idlib, infatti, si teme che una nuova offensiva del regime possa portare a una nuova catastrofe umanitaria, dopo il grande numero di vittime civili nel corso di questi sette anni di guerra civile e dopo quanto avvenuto ad aprile nella Ghuta orientale, vicino a Damasco, caso scatenante dei raid di Usa, Gran Bretagna e Francia con le accuse rivolte al regime di aver utilizzato armi chimiche.
Il primo vertice: accordo su quattro zone di de-escalation
Ma cosa è stato deciso nei precedenti incontri tra Russia, Turchia e Iran? A Sochi, in Russia, il Paese guidato da Vladimir Putin ha raggiunto lo scorso anno con Turchia e Iran un'intesa - detta di "de-escalation" - in cui i tre Paesi hanno stabilito delle linee di demarcazione tra le rispettive aree di influenza in Siria e la creazione di “safe zone”, aree di sicurezza dove la popolazione civile e gli sfollati possono rifugiarsi e ricevere protezione dalla violenza. A settembre è stato poi trovato l’accordo per la definizione finale dei confini di quattro aree di cessate il fuoco assoluto: la provincia di Idlib, alcune parti delle zone limitrofe nelle province di Latakia, Hama e Aleppo a nord della città di Homs, Ghouta orientale, nonché le province di Daraa e al-Quneitra nel sud del Paese. La delegazione dell'opposizione, tuttavia, aveva dichiarato “inaccettabile” ogni accordo di cessate il fuoco che non comprendesse “tutto il territorio nazionale”.
Il secondo vertice: rafforzamento del cessate il fuoco
Nell’aprile del 2018, in un secondo vertice ad Ankara, i leader di Russia, Turchia e Iran hanno sottolineato l'importanza di proseguire il rafforzamento del cessate il fuoco e di garantire immediati aiuti umanitari nelle zone del conflitto. I tre Paesi si sono impegnati poi a contrastare ogni “agenda separatista che mini la sovranità e integrità territoriale della Siria e la sicurezza nazionale dei Paesi vicini”. Punto su cui il leader iraniano Rohani ha criticato l’agenda degli Stati Uniti: “Cambiano idea ogni giorno e non sono affidabili. Vogliono soldi dai governi arabi nella regione per restare”. “La priorità del processo di Astana è la promozione di un processo politico per risolvere la crisi siriana”, ha ribadito invece Vladimir Putin in conclusione del summit. “Come Iran abbiamo detto molte volte che la crisi siriana non ha una soluzione militare ma politica”, ha concordato Rohani. Il presidente turco Erdogan aveva poi chiarito il rapporto tra gli incontri del processo di Astana e l'Onu: “Non abbiamo mai presentato il processo di Astana come alternativo a Ginevra”.
Il disimpegno degli Usa
Gli Stati Uniti, nonostante gli ultimi moniti di Trump, si sono man mano sfilati dai colloqui di pace con Russia, Turchia e Iran. Pur senza fissare una data, e nonostante la partecipazione ai bombardamenti dello scorso aprile su Damasco e Homs, Trump appare deciso a non prorogare la missione oltre la distruzione dell'Isis e a ritirare i soldati americani dalla Siria. Sottolineando così l’intenzione di fermarsi alla sconfitta dell’Isis. "La missione militare per sradicare l'Isis in Siria sta arrivando a una rapida fine, con l'Isis quasi completamente distrutta", aveva assicurato la Casa Bianca, spiegando che gli Stati Uniti e i loro partner "restano impegnati a eliminare la piccola presenza dell'Isis in Siria che le nostre forze non hanno già eliminato".