Lettere dall'America

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Giovanna Pancheri

Alistair Cooke

Dalle "Letter from America" di Alistair Cooke all'America di Trump, cosa proveremo a raccontarvi con questo blog

"Non se ne può più della guerra, perché non ci inventiamo qualcosa di nuovo? Racconta tutte le cose che racconti a me quando ci vediamo: la storia del gelato, i bambini americani, la magia dell'autunno nel New England..."

Era il 1946 quando l'allora direttore del servizio nazionale della BBC fece questa proposta al suo già valido corrispondente dagli Stati Uniti da più di 10 anni: Alistair Cooke. Poche settimane dopo iniziò 'Letter From America' (Lettera dall'America), uno dei più longevi programmi radiofonici della storia. Cooke confezionò 2869 lettere fino al 2004. Si ritirò a 95 anni, un mese prima di morire nella sua New York. Il programma settimanale, di appena quindici minuti ha costituito una cerniera culturale fondamentale per unire le due sponde dell'Atlantico. Con il suo tono rassicurante e la sua prosa letteraria e accattivante ha saputo raccontare e far conoscere per oltre 50 anni la politica, la cultura, lo sport, la società e soprattutto gli uomini e le donne d'America diventando un simbolo di una tradizione giornalistica non di parte, ma dalla parte del reale, dei fatti. Con idee chiare, ma che mai eccedevano nella partigianeria, nell'ideologia. Cooke, se ne esistesse uno, sarebbe sicuramente da ascrivere nel tempio della professione giornalistica e dal suo esempio nasce la scelta del titolo di questo blog che, certo, non ha la presunzione di poter eguagliare né per spessore dei contenuti, né tantomeno per longevità vette così inarrivabili, ma vuole provare ad essere un punto di vista e di osservazione diverso sugli Stati Uniti, nel solco di quella tradizione di fedeltà agli eventi e al sentire delle persone che Cooke ha saputo tracciare con eleganza e profondità.

Come quando nel 1975 raccontava nella sua Lettera dell'11 luglio degli accordi di Helsinki, tra l'allora Unione Sovietica e il blocco dei paesi occidentali. I Presidenti di riferimento erano Gerald Ford per gli Stati Uniti e Leonid Breznev per l'U.R.S.S. Quegli accordi, da cui nacque l'OCSE (l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) segnarono il primo concreto risultato dell'era della distensione che portò all'allentamento e poi alla fine della Guerra Fredda, ma nelle ore immediatamente successive era difficile capire quali sarebbero stati i risvolti di quello storico vertice, come è complesso leggere ora i risultati dell'incontro di queste ultime ore a Helsinki tra Donald Trump e Vladimir Putin. Il primo bilaterale ufficiale tra Russia e Stati Uniti dopo anni di tensioni e frizioni è stato dominato da un unico argomento il Russiagate. Il Presidente americano si è rifiutato di dare apertamente ragione alla sua intelligence che da mesi sostiene che Mosca ha interferito con i suoi cyberattacchi nelle elezioni del 2016 e ha, invece, sottolineato che Putin ha sempre negato con forza le accuse di spionaggio complimentandosi anche per l'offerta fatta dal leader del Cremlino di fare interrogare i propri agenti sospettati dagli inquirenti americani. Una resa secondo i più critici osservatori democratici e non solo, un successo secondo Trump che continua a vedere l'inchiesta sul Russiagate come una caccia alle streghe, sostenendo l'importanza di riattivare relazioni e canali di dialogo con una potenza così importante e strategica come la Russia con cui sono molti e delicati i dossier in ballo: dalla non proliferazione nucleare, alla Siria fino alla Crimea su cui il Presidente americano ha confermato una posizione di condanna in linea con gli alleati della Nato. Per capire dove sta la ragione bisognerà però far depositare la polvere perché come spiegava Cooke ai suoi ascoltatori all'indomani degli accordi di Helsinki: " Potrebbe non essere un accordo di pace, ma uno strumento di resa [...]. Credo, però, che siamo ancora troppo vicini ai chirurghi, hanno appena finito di lavarsi e il tempo per parlarne sarà tra alcune settimane, forse mesi, quando potremmo vedere più chiaramente i sintomi post operatori e dire se il paziente è davvero un uomo nuovo o, invece, un uomo che resterà per sempre zoppo a causa di un'operazione fallita".

 

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