Secondo l'Organizzazione per la protezione dei giornalisti (CPJ), il Paese sarebbe uno dei più pericolosi per i reporter
L'organizzazione per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha riconosciuto che la Russia è uno dei paesi più pericolosi per i reporter ed il peggiore per quanto riguarda la risoluzione degli omicidi. Al di là dei numeri e delle statistiche, che possono sempre essere soggetti a un margine di errore, impressiona la scia di sangue che in Russia accumuna le vicende di oppositori, blogger e giornalisti.
L'omicidio Anna Politkovskaja
Il caso forse più eclatante, che suscitò per la prima volta anche una forte reazione da parte dell’opinione pubblica russa, fu l’uccisione, nel 2006 di Anna Politkovskaja, molto conosciuta per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, quotidiano di ispirazione liberale, Politkovskaja condannava apertamente l'Esercito russo e il Governo russo per il non rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, sia in Russia che in Cecenia. Alla sua morte in molti si mobilitarono, in Russia e nel mondo, affinché le circostanze dell'omicidio, avvenuto nel palazzo dove viveva, venissero al più presto chiarite. Cosa che ancora non è accaduta. “In Russia non abbiamo giornalisti in carcere, a parte qualche caso isolato, da noi non è come in Turchia. In Russia però abbiamo un enorme numero di giornalisti uccisi. Dal 1990, in 27 anni, abbiamo scritto almeno 359 nomi sulla lista dei nostri colleghi uccisi in aree di guerra o assassinati in circostanze misteriose”, aveva spiegato, durante la sua partecipazione al Festival dei diritti umani 2017 a Milano, la vice presidente della Federazione europea dei giornalisti Nadezda Azhgikina, che per 15 anni ha guidato l’Unione dei giornalisti russi. “In Russia c’è una cultura dell’impunità: lo ripetiamo ad alta voce da quando è stata assassinata Anna Politkovskaya. Tutti i casi su cui la magistratura non ha mai indagato hanno generato nuova violenza”, aveva commentato in quell’occasione Azhgikina.
La libertà d'espressione in Russia
Alla luce di quanto detto fin qui, potrà forse sorprendere che nell’ultimo quinquennio il numero di giornalisti ammazzati sia in realtà calato a un paio di casi all’anno, mentre sono stati molti di più sono quelli sanzionati, licenziati ed emarginati. Se si pensa che da quando Vladimir Putin è salito alla ribalta sono stati 133 i giornalisti uccisi in Russia, questo dato in controtendenza deve essere letto legandolo al fatto che il mercato editoriale russo, col tempo, è finito quasi completamente sotto il controllo di uomini vicini al leader o almeno abbastanza furbi da non pensare neanche a pestargli i piedi. Un ulteriore aspetto che gioca un ruolo molto importante nei problemi legati alla libertà di espressione in Russia è l’altissimo tasso di corruzione che caratterizza il paese e che ha avvelenato tutto l’apparato dello stato, giustizia compresa.
La morte di Boris Nemtsov
Transparency International piazza la Federazione russa al 135esimo posto nel barometro della corruzione percepita. Stessa posizione la occupa il Messico, altro Paese (non in guerra) che vede cadere i giornalisti come mosche sotto i colpi dei revolver. La polizia russa è soggetta a un controllo politico che nulla ha da invidiare a quello di sovietica memoria e il livello di corruzione la rende spesso connivente nei confronti delle organizzazioni criminali. Risultato: chi dovrebbe proteggere i giornalisti, non lo fa. E non solo, ovviamente, i giornalisti. Il discorso si estende facilmente a qualsiasi voce scomoda che possa trovare un seguito nell’opinione pubblica. La notte del 27 febbraio 2015, Boris Nemtsov, all'epoca uno degli oppositori più in vista del presidente russo Vladimir Putin, fu ucciso per strada nella zona che è la più sorvegliata di tutta la Russia: quella del Cremlino. Ad altri, finora, sta andando meglio. Alexei Navalny, Anatolij Karpov e Sergei Udaltsov appartengono alla categoria degli oppositori politici che subiscono periodicamente angherie e infortuni che limitano grandemente la loro capacità di azione.
Giornalisti in pericolo anche se espatriati
Non va infine dimenticato un aspetto inquietante. Giornalisti, attivisti, oppositori continuano a sentirsi e, in molti casi, ad essere in pericolo di vita anche quando sono ormai espatriati. Il caso più eclatante è forse quello del giornalista Arkady Babchenko, emigrato in Ucraina perché minacciato di morte in patria. Per proteggerlo i servizi ucraini hanno inscenato la sua morte a Kiev salvo poi farlo apparire a distanza di poche ore vivo e vegeto in conferenza stampa. L’uomo che sarebbe stato ingaggiato "dall’estero" per ucciderlo è stato arrestato e si è aperta la caccia ai mandanti. Sulla loro identità i servizi segreti ucraini sembrano avere pochi dubbi e puntano il dito dritto contro l’Fsb russo.