Diario di bordo dalla Seawatch 3: pattugliamenti e riflessioni

Mondo

Monica Napoli

Prosegue il viaggio di Sky TG24 a bordo della nave della Ong tedesca per osservare l'attività di salvataggio in mare dei migranti

Una giornata tranquilla per la crew della Seawatch 3 che ora, dopo esercitazioni e briefing, resta concentrata nell'avvistamento di eventuali barconi in difficoltà. I turni di quattro persone diventano di sei così da poter controllare ogni angolo dalla nave 24 ore su 24. Un'operazione cui sono abituati ormai: armati di binocolo si fissano i diversi punti del Mediterraneo. Non siamo lontani dalla Libia, restiamo nelle acque internazionali, per radio le comunicazioni della marina militare libica con altre imbarcazioni non lontane da noi. Il mare si sta calmando e, prima della fine della missione, la crew vuole essere certa che nessuno si trovi in difficoltà senza aiuti.

Accuse da verificare

Dopo otto giorni di permanenza sull'imbarcazione e dopo diversi giorni di navigazione, la stanchezza e lo stress che ci avevano annunciato durante il training psicologico, iniziano a farsi sentire. Gli spazi ridotti e poco confortevoli, comunicare (per la maggior parte) in un'altra lingua e stare continuamente in mare stanca. Tutti, però, hanno il sorriso sulle labbra e la consapevolezza - mi dicono - di fare una cosa giusta. I veterani, abituati alle missioni in mare, tengono alto il morale della crew. Sulla barca, si può riprendere ovunque e qualsiasi cosa. Sulle Ong che operano nel mediterraneo si è scritto e polemizzato molto. In pratica, le organizzazioni non governative vengono accusate di essere in contatto con i trafficanti che trasportano i migranti a bordo dei barconi, di prendere i soldi per la loro azione da una parte dell'opinione pubblica; ma è anche la magistratura che ha gli occhi puntati sull'operato delle Ong in mare. Sotto inchiesta, ad esempio, della magistratura siciliana c'è la Ong spagnola Openarms dopo che ha portato a Pozzallo più di centro migranti salvati. Diverse sono le ombre su queste organizzazioni che da ormai tre anni operano in mare. La collega olandese ha puntato una telecamera proprio sulla radio e sui posti di comando.  E io sono qui per vedere con i miei occhi come operano, se ci sono o meno i contatti con la costa libica e con i trafficanti, per capire meglio.

Il rapporto con la Libia

Intanto sulla lavagna, appesa nella sala da pranzo, dove vengono elencati gli appuntamenti della giornata è scritta a chiare lettere la data di rientro, il giorno in cui la nave lascerà la zona dei soccorsi per rientrare a Malta, fare il cambio crew e partire di nuovo per tornare a pattugliare la zona dei soccorsi. "Capita che rientriamo senza aver effettuato nessun salvataggio - mi dicono i più esperti - è possibilissimo. A noi non dispiace e non la consideriamo una perdita di tempo e denaro. L'importante è non aver lasciato nessuno morire in mare, solo questo". "Il problema - mi spiega Maggie, mediatrice culturale - è che noi sappiamo che la guardia costiera libica li blocca ma sappiamo anche che ci proveranno di nuovo a partire, il nostro compito è aiutarli se sono in difficoltà". Da diverso tempo, dall'accordo tra l'Italia e la Libia, anche la guardia costiera libica opera salvataggi in mare e riporta indietro, in Libia, le persone salpate a bordo di barconi fatiscenti. Secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero dell’Interno sono molti di più i salvataggi effettuati dalla guardia costiera che dalle Ong. Nei primi mesi del 2018 avrebbe condotto 4.100 soccorsi la guardia costiera libica, il doppio rispetto ai 2.500 effettuati dalle Ong nello stesso periodo.

La situazione attuale dei migranti

"La questione non è chiara - mi spiega Kim, il primo ufficiale, dipendente della Ong - perché dopo quanto documentato nei centri in Libia da alcune testate di informazione mondiale il nostro timore è che queste persone siano maltrattate e chiuse in qualche centro". In effetti le sue parole mi fanno tornare in mente le immagini che anche SkyTG24 ha mostrato dei centri in Libia. "Da quando sono iniziate le operazioni dei libici - gli chiedo - cosa vi raccontano le persone che salvate? Insomma, che partono lo stesso?". "Nel salvataggio di novembre dove hanno perso la vita 50 persone e altrettante sono state riportate indietro dai libici - racconta Kim - è stato orribile vedere la paura nei loro occhi, cercavano di salire sui nostri gommoni, ci imploravano con lo sguardo. Non voglio fare polemiche politiche, non mi compete ma quello sguardo non lo dimentico". Quanto accaduto a novembre è stato discusso anche al parlamento italiano, a parlare dei fatti un giovane volontario italiano, Gennaro Giudetti, a bordo della Seawatch e del gommone. Dopo pochissimo, il video di quanto era accaduto è arrivato nelle redazioni di diverse testate.

L'importanza della famiglia

Dopo giorni trascorsi insieme, chiedo apertamente qualcosa in più sulle loro famiglie, mi interessa sapere se hanno il loro sostegno o meno. Insomma, alcuni di loro partono per diverso tempo come volontari, stare fuori casa per settimane senza guadagnare nulla non è una scelta che accettano in tanti. "I miei genitori mi appoggiano moltissimo in questo tipo di missioni" mi racconta Lorenz, infermerie di Friburgo. "Queste?", gli domando. "Si - sorride - sai tempo fa partecipavo alle proteste animaliste, sono uno di quelli che irrompe nelle aziende per liberare i polli dalle batterie industriali ad esempio". Tutti, comunque, mi raccontano del forte sostegno da parte delle famiglie, è il loro primo e più forte aiuto sapere che il compagno o la compagna, la madre e il padre, fratelli e sorelle appoggino quanto fanno. Li motiva e li aiuta a superare la mancanza quando si naviga per settimane e a casa non si può telefonare. Si perché sono pochissimi i cellulari a bordo, a parte noi giornalisti solo due persone ce l'hanno. Intanto cala il buio, il mare ora sembra si stia calmando almeno un po', gli occhi della crew restan fissi sui radar e nei binocoli.

La Seawatch è una Ong tedesca che dal 2015 opera nel Mediterraneo per trarre in salvo i migranti che dalla Libia partono su barconi fatiscenti rischiando la vita. È la terza missione dall'inizio del 2018 e nonostante gli ultimi avvenimenti in Italia e i rapporti sempre più complicati con la guardia costiera libica, il gruppo ha deciso di partire ugualmente. L'Italia è il Paese dove vengono portati i migranti salvati, il Paese che fronteggia maggiormente il flusso migratorio. Questo è il diario di come avvengono le operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo.

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