Migranti da Israele in Italia, retromarcia Netanyahu: "Era un esempio"

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Protesta dei migranti in Israele (archivio Getty Images)

Il primo ministro israeliano aveva annoverato il nostro Paese tra quelli in cui, grazie a un accordo con l'Onu, saranno accolte oltre 16mila persone. Ma dopo la smentita della Farnesina, anche Tel Aviv ha precisato: “L’Italia era solo un esempio”

Non c’è nessun accordo tra Israele e l’Unhcr per mandare alcune migliaia di migranti di origine africana in Italia. Lo ha precisato la Farnesina, dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva annoverato il nostro Paese tra quelli protagonisti dell’intesa “senza precedenti” raggiunta con l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati e che ha portato allo stop delle espulsioni di migliaia di migranti eritrei e sudanesi. E poi è stato lo stesso ufficio di Netanyahu a spiegare che “l’Italia era solo un esempio di un Paese occidentale: il primo ministro non intendeva in modo specifico l'Italia".

Un’operazione lunga cinque anni

Ma l’accordo tra Israele e l’Unhcr è invece reale e, secondo quanto riferisce la stampa, che cita un comunicato del governo, il trasferimento dei migranti avverrà in tre fasi nell'arco di cinque anni: il primo anno ne saranno spostati 6mila su un totale di 16.250. Israele, da parte sua, ha accettato però di regolarizzare lo status dei rimanenti migranti (profughi, nuclei familiari già radicati, anziani, malati in condizioni gravi) che saranno dispersi nel suo intero territorio in modo di alleviare le condizioni dei quartieri poveri di Tel Aviv, dove finora erano concentrati.

Lo stop alle espulsioni

Ed è alla luce di questa importante intesa con l'Alto Commissario dell'Onu per i rifugiati, si legge nel comunicato, che sono divenute superflue le imminenti espulsioni verso ''un Paese terzo'' africano (il Ruanda, secondo la stampa). In passato il governo aveva informato la Corte Suprema di aver sottoscritto con quel Paese accordi di accoglienza per i migranti provenienti da Israele, ma in merito, precisa il comunicato, sono poi insorte ''difficoltà politiche''.

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