La sentenza contro Roma diventa definitiva: secondo i giudici le istituzioni italiane non furono capaci di proteggere una donna e il figlio dalle violenze del marito, nonostante la denuncia presentata
La Corte europea dei diritti umani ha rifiutato la richiesta del governo italiano di inviare davanti alla Grande Camera per un nuovo esame un caso di violenza domestica. Il 2 marzo scorso la Corte aveva condannato l'Italia per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna e il figlio dal marito, che alla fine aveva ucciso il ragazzo e tentato di assassinare la moglie. La condanna è quindi definitiva.
Il ricorso alla Corte
A ricorrere a Strasburgo, nel 2014, era stata una cittadina rumena e moldava che nel 2011 si era trasferita con il marito moldavo, la figlia e il figlio minorenni in provincia di Udine. Il 26 novembre 2013 il marito, ora in prigione, uccise il figlio e tentò di uccidere la donna. Evento preceduto da violenze, ripetute richieste d'intervento e una denuncia della donna. I giudici hanno stabilito a marzo che "non agendo prontamente", le autorità italiane hanno privato la denuncia di effetto. La Corte ha quindi riconosciuto alla ricorrente trentamila euro per danni morali e diecimila per le spese legali.