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Pakistan, 30enne sciita condannato a morte per “blasfemia su Facebook”

Mondo
Una recente manifestazione in Pakistan contro la blasfemia sui social network (Getty)

Taimoor Raza è stato considerato colpevole per aver postato commenti e contenuti ritenuti offensivi nei confronti del profeta Maometto. È la prima volta che la pena capitale viene comminata per questo reato compiuto sui social media

Un tribunale pachistano antiterrorismo ha condannato a morte per blasfemia un ragazzo di 30 anni, musulmano sciita, accusato di avere utilizzato i social media per postare contenuti offensivi del Profeta Maometto. È la prima volta che una persona viene condannata alla pena capitale per blasfemia sui social network.

La vicenda

L’imputato, Taimoor Raza, sarebbe stato arrestato ad aprile 2016 mentre si trovava ad una fermata del bus: secondo l’agente che l’ha fermato, il giovane mostrava sul telefono ad altri passeggeri i contenuti ritenuti blasfemi. L’apparecchio è stato sequestrato e gli investigatori hanno trovato prove contro l’imputato ritenute “molto concrete”. Reza avrebbe inoltre avuto su Facebook uno scambio di commenti a sfondo religioso con una persona che poi si è rivelata essere un agente in incognito dell’antiterrorismo.

La condanna a morte

La sentenza di primo grado è stata firmata a Bahawalpur, città meridionale della provincia di Punjab. Secondo il pubblico ministero, il giovane avrebbe espresso osservazioni di disprezzo nei confronti del Profeta e della sua famiglia. La legge riguardante la blasfemia del Pakistan è una delle più rigide di tutto il mondo islamico e le minoranze nel Paese (a forte maggioranza sunnita) sostengono che essa venga utilizzata in particolare contro di loro. In generale sono i cristiani pachistani ad essere condannati per offese al Profeta, ma per la prima volta la pena capitale è stata comminata contro un musulmano. L’avvocato ha annunciato che il suo assistito presenterà appello all’Alta Corte.

Escalation contro la blasfemia

Il primo ministro Nawaz Sharif negli ultimi mesi ha inasprito i controlli e le pene contro la blasfemia online. Secondo un rapporto del gruppo locale Human Rights Commission, lo scorso anno in Pakistan sono state arrestate 15 persone accusate di blasfemia. Nessuna esecuzione è mai stata effettuata per questo capo d’imputazione. Lo scorso aprile, Mashal Khan, studente di giornalismo di 23 anni, è stato ucciso da altri 20 membri dell’università Abdul Wali Khan dopo una discussione a tema religioso sfociata in un linciaggio perché il giovane, secondo i suoi assassini, “avrebbe offeso l’Islam”.

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