Trump, lite con premier australiano:"Non mandateci rifugiati"

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Secondo il "Washington Post", durante una telefonata con Malcom Turnbull, il presidente americano si sarebbe rifiutato di rispettare l'accordo che prevede l'arrivo di 1.250 migranti negli Usa. Smentite le minacce di ricorrere all'esercito nei confronti del presidente messicano Pena Nieto, riportate dall'Associated Press. VIDEO: Le prime due settimane di mandato

È stata una telefonata tesa quella tra Donald Trump e il premier australiano Malcolm Turnbull. Secondo il "Washington Post", il dialogo tra i due leader non si sarebbe svolto su toni rilassati. E la conferma è arrivata anche da "fonti autorevoli" del governo australiano che hanno detto alla radio nazionale Abc che la conversazione telefonica tra i due leader è stata "molto tesa" e più breve del previsto.

 

No all'accoglienza di 1.250 rifugiati - Stando a quanto riferisce il giornale americano, Trump si sarebbe rifiutato di rispettare l’accordo per cui gli Usa dovrebbero accogliere 1.250 rifugiati che ora si trovano nelle carceri australiane. Trump avrebbe anche accusato Turnbull di voler esportare negli Stati Uniti "dei terroristi". La telefonata, inoltre, si sarebbe interrotta bruscamente dopo 25 minuti, e quindi molto prima dei 60 previsti dal protocollo. 

 

Conferme e smentite - Trump avrebbe anche detto che l’accordo sui rifugiati con l’Australia è “la peggiore intesa di sempre”. Il premier australiano, fino ad ora, si è rifiutato di commentare le indiscrezioni rivelate dalla stampa statunitense, e ha precisato: “È bene che queste cose, queste conversazioni, siano condotte in modo chiaro, franco e in privato”. Turnbull ha poi ribadito ai giornalisti che il rapporto tra i due Paese "è forte". Sulla questione, Trump ha anche scritto un tweet: “L'amministrazione Obama si è detta d'accordo nel prendere migliaia di immigrati illegali dall'Australia. Perché? Studierò questa stupida intesa”.

 

 

La telefonata con il presidente messicano - Venerdì scorso, Trump aveva parlato al telefono anche con il presidente messicano Enrique Pena Nieto, dopo la decisione degli Usa di procedere con la costruzione del muro al confine con il Messico. In un primo momento, secondo una trascrizione della conversazione citata dall'Associated Press, sembrava che Trump avesse minacciato Pena Nieto di inviare l'esercito statunitense se il governo messicano non avesse fermato i "bad hombres".

 

Ma la notizia è stata smentita dal ministero degli Esteri messicano, che ha parlato di un' "assoluta falsità" e di "una evidente cattiva intenzione". E dal Messico è arrivata anche la garanzia che i due presidenti sono giunti all'accordo di "continuare a lavorare" e che gli staff dei due Paesi "continueranno a incontrarsi per raggiungere un'intesa positiva". Fonti della Casa Bianca, secondo l'Associated Press, hanno confermato le parole rivolte da Trump a Nieto, ma riportandole come una minaccia “scherzosa". Lo stesso Trump ha poi dichiarato che "il mondo è in pericolo e io voglio sistemare le cose. Quando sentite delle mie telefonate dure con gli alleati non preoccupatevi. Certe cose non devono più accadere”.

 

Trump: accetteremo solo immigrati che ci amano - Il presidente è poi intervenuto al National Prayer Breakfast, l'annuale colazione di preghiera, dove ha rilasciato alcune dichiarazioni. "La libertà religiosa è sacra e ogni americano ha il diritto di professare la fede in cui crede. Ma quelli che vengono in America devono rispettare i nostri valori. Farò tutto il possibile per difendere la libertà religiosa negli Usa”. Secondo Trump, “Tutte le nazioni hanno il dovere di fronteggiare la violenza contro i cristiani da parte dell’Isis. Abbiamo visto musulmani pacifici brutalizzati dall’Isis”.

 

Il presidente ha quindi detto che “gli Usa hanno il sistema di immigrazione più generoso al mondo ma ci sono quelli che si approfittano della generosità”. Poi ha promesso di “sviluppare un sistema che garantisca che le persone in arrivo nel Paese amino noi e i nostri valori".

 

L'America divisa tra proteste e sostegno a Trump - Mentre in tutti gli Usa sono scoppiate le proteste contro la linea dura scelta da Trump contro gli immigrati e soprattutto contro quelli di fede islamica, la maggioranza del Paese resta ancora dalla parte del neopresidente. Il sostegno incondizionato a Trump, in particolare, arriva da quell'America dove la crisi economica ha colpito di più, e dove la classe media è scomparsa. L'approvazione per le scelte del repubblicano è molto forte nelle cittadine dell'America profonda, ma anche in una roccafote del magnate Lakewood (IL VIDEO), nel New Jersey, a un'ora di macchina da New York, dove allontanare i migranti e combattere l'islam sono ritenute delle buone scelte dalla maggior parte degli abitanti.

 

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