Facebook nega accesso a WhatsApp: arrestato il numero 2 in Brasile

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Per gli inquirenti, l'accesso ai dati sarebbe rilevante per un'inchiesta su un traffico di stupefacenti. La replica: "Non possiamo fornire informazioni che non abbiamo". La vicenda ricorda il braccio di ferro Apple-Fbi. E una sentenza a NY dà ragione alla società di Cupertino

 

La polizia federale brasiliana ha arrestato a San Paolo il vicepresidente di Facebook per l'America Latina, Diego Dzodan. Il motivo, secondo gli agenti, è stata la mancanza di collaborazione dell'azienda su alcuni messaggi su WhatsApp, che appartiene a Facebook. Delusione è stata espressa dalla società: "Non possiamo fornire informazioni che non abbiamo. Abbiamo collaborato al massimo delle nostre capacità in questo caso e se da una parte rispettiamo il lavoro importante delle forze dell'ordine, dall'altra siamo fortemente in disaccordo con la loro decisione", ha detto il portavoce di WhattsApp.
 

 

I precedenti  - Secondo gli inquirenti, l'accesso ai dati sarebbe rilevante per un'inchiesta su un traffico di stupefacenti. Non è la prima volta che il colosso di Palo Alto entra in conflitto con le autorità brasiliane. Lo scorso dicembre, un giudice aveva bloccato temporaneamente Whatsapp per non aver rispettato per due volte la richiesta di accesso ai dati di alcuni utenti che, secondo quanto aveva riportato la stampa, erano coinvolti in un cartello criminale.

 

 

 

 

Il braccio di ferro tra Apple e Fbi - La vicenda è simile a quella che ha coinvolto Apple negli Stati Uniti, con l'azienda di Cupertino che si è rifiutata di rispettare l'ordine di un tribunale che aveva chiesto accesso ai dati dell'iPhone di uno degli autori della strage di San Bernardino. Gli investigatori infatti vogliono accedere ai contenuti dello smartphone di Syed Rizwan, uno dei due killer che lo scorso 2 dicembre hanno causato 14 vittime. Jan Koum, amministratore delegato di Whatsapp, si è schierato con Apple (come molte aziende hi tech): in questa vicenda è in gioco la “nostra libertà”.

 

 

La tesi della Casa Bianca - L'azienda di Cupertino non intende però fornire il software necessario ("Sarebbe una minaccia alla sicurezza dei nostri clienti" e ancora:  "Forzare l'iPhone sarebbe l'equivalente in software del cancro"). Tesi negata dalla Casa Bianca: nessuna richiesta di back door per accedere ai dati criptati di tutti gli smartphone. Da qui il braccio di ferro legale tra le autorità federali e l'azienda di Cupertino.

 

Sullo "sblocco" dell'Iphone, la società di Cupertino ha incassato proprio in queste ore una prima vittoria in tribunale nel braccio di ferro con l'amministrazione Obama sulla privacy digitale.

 

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