Dalla Colombia al resto del mondo, il viaggio della cocaina
MondoNel libro "Oro Bianco" Nicola Gratteri e Antonio Nicaso raccontano le storie di uomini, traffici e denaro legati all’impero della coca. E spiegano le rotte e le tecniche per farla arrivare ai consumatori, fino all’uso di cani vivi. L’ESTRATTO
La garanzia di sbarco della merce è imprescindibile
Stati Uniti ed Europa sono i due principali «obiettivi» dei narcos colombiani. È come giocare a Risiko, un mix di fortuna e strategia. Cambiano le rotte, ma non la determinazione a conquistare sempre più territori. «Per raggiungere l’Europa ci sono due possibilità di trasporto » spiega il tenente colonnello Andrea Canale della Direzione centrale dei servizi antidroga, «quello marittimo e quello aereo. Se si viaggia per mare, i porti di transito sono quelli di Venezuela, Santo Domingo, isole dei Caraibi, Ecuador [il porto di Guayaquil], Perù, Brasile, e quelli della parte occidentale dell’Africa. Spagna, Olanda e Belgio (“Anversa è un buco mostruoso”) sono altre importanti porte d’ingresso.» Molti narcos cercano di evitare lo stretto di Gibilterra. Salvatore Mancuso lo conferma ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che vanno a interrogarlo nel carcere di Washington: «Avevamo paura di entrare in Europa dallo stretto di Gibilterra. Quello Mediterraneo è uno dei mari più controllati. Preferivamo far arrivare la droga dai porti del Nordeuropa e dalla Galizia». Per i narcos colombiani la cosa più importante è garantire la bajada, lo sbarco della merce.
«Oggi si utilizzano sempre di più le lance che passano per il Guatemala» aggiunge il tenente colonnello Canale. «A incoraggiare questa rotta è una discutibile legislazione che consente ai narcos di farla franca, ogni qualvolta vengono sorpresi con la droga a bordo. Anche sotto gli occhi dei poliziotti in arrivo, devono liberarsi del carico, buttandolo a mare. L’unico modo per finire in manette è farsi sorprendere con il carico a bordo.» Se invece si viaggia per via aerea, le rotte coinvolgono gli aeroporti di Colombia, Venezuela, Brasile. «Ogni tanto arriva qualcosa da Argentina, Messico, Cile e Santo Domingo » dicono gli analisti della Direzione centrale servizi antidroga. Per raggiungere da terra il Nordamerica, invece, si passa attraverso Panama e Messico. I punti di stoccaggio per gli Stati Uniti sono Santo Domingo, Guatemala, Honduras e Nicaragua, i vecchi «snodi» utilizzati anche da Pablo Escobar. Dalla Colombia la cocaina parte nei modi più disparati.
La ’ndrangheta predilige sempre i container via nave, mentre altre organizzazioni minori, che possono usare la via terrestre, scelgono gli chassis dei camion, le autocisterne con doppio fondo, i tetti dei pullman, e ancora fusti e barili di combustibile, i radiatori di vari veicoli, telai di moto e biciclette. I «muli» – cioè i corrieri della droga – che viaggiano a bordo di aerei di linea la ingeriscono in vari modi. Gli involucri contenenti la droga sono di materiali vari (gomma, plastica, lattice, cellophane, nastro isolante) – spesso si utilizzano anche i comuni preservativi – e possono essere introdotti nel corpo per via rettale, orale o vaginale. In altri casi, invece, i corrieri cercano la complicità di piloti o personale di bordo, nascondendo la cocaina nella cabina di comando o nei carrelli delle vivande. Quando riescono a ottenere la complicità del personale di terra, la droga viaggia nei vani bagagli.
Negli ultimi anni, la guardia di finanza dell’aeroporto di Fiumicino l’ha trovata nell’intercapedine dei quadri, nei tubetti di pasta dentifricia, mescolata con vernice o con polvere di titanio, e tra le merci più svariate, quali mobili o componenti industriali, ma anche nascosta nei doppi fondi delle valigie, nei barattoli per le conserve e la frutta sciroppata, nelle confezioni di varie creme cosmetiche, in piccoli spazi ricavati nelle suole e nei tacchi delle scarpe, nei portasapone, negli orologi a muro e in bottiglie in vetro che contenevano la droga disciolta in liquidi indicati come bevande. Un altro sistema molto sfruttato è quello di realizzare manufatti di produzione artigianale – statuine, busti, oggetti di varia foggia – impiegando come materia prima direttamente la sostanza stupefacente e lavorandola come se fosse cera.
In un recente rapporto della Direzione centrale dei servizi antidroga si cita una nuova tecnica utilizzata dai narcos, quella della «smolecolarizzazione», o dell’«impregnazione ». Si tratta della scomposizione della cocaina in molecole di materie trasportabili e non illegali, come l’idrogeno per esempio. Sostanze che, in tal modo, viaggiano separatamente e alla luce del sole, per poi venire riassemblate da chimici, una volta arrivate a destinazione. Uno dei metodi più sofisticati è l’utilizzo di materiali assorbenti come tessuti, cartone e libri. Carichi di cocaina impregnata vengono scoperti dalla polizia nel 2009 a Santiago del Cile e nel 2011 a Ibarra, in Ecuador. Secondo l’osservatorio europeo sulle droghe, «tra il 2008 e il 2010 la Spagna ha individuato e smantellato 73 impianti, la maggioranza dei quali costituita da laboratori di “estrazione secondaria”, utilizzati per estrarre la cocaina da altri materiali nei quali era nascosta, come cera d’api, fertilizzanti, plastica, prodotti alimentari o capi d’abbigliamento ».31 Un altro originale sistema per trasportare la cocaina viene rivelato ai magistrati da Lenny Barbanti, nativo di Livorno e sposato con la figlia di un luogotenente del cartello del Golfo. Nel maggio 2012, così dichiara a verbale:
La fantasia dei narcos è, comunque, senza limiti. «Una volta nel Togo» racconta ancora il pubblico ministero Salvatore Curcio «ci è sfuggito un carico di 5000 chili di cocaina. Viaggiava su un container che trasportava pasta italiana proveniente… dall’Africa.»
© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Tratto da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Oro Bianco. Storie di uomini, traffici e denaro dall’impero della cocaina, pp. 276, euro 18
Nicola Gratteri è uno dei magistrati più esposti nella lotta alla 'ndrangheta. Ha indagato sulla strage di Duisburg e sulle rotte internazionali del narcotraffico.
Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali, è uno dei massimi esperti di 'ndrangheta nel mondo. Ha scritto ventisette libri, tra cui alcuni bestseller internazionali.
Stati Uniti ed Europa sono i due principali «obiettivi» dei narcos colombiani. È come giocare a Risiko, un mix di fortuna e strategia. Cambiano le rotte, ma non la determinazione a conquistare sempre più territori. «Per raggiungere l’Europa ci sono due possibilità di trasporto » spiega il tenente colonnello Andrea Canale della Direzione centrale dei servizi antidroga, «quello marittimo e quello aereo. Se si viaggia per mare, i porti di transito sono quelli di Venezuela, Santo Domingo, isole dei Caraibi, Ecuador [il porto di Guayaquil], Perù, Brasile, e quelli della parte occidentale dell’Africa. Spagna, Olanda e Belgio (“Anversa è un buco mostruoso”) sono altre importanti porte d’ingresso.» Molti narcos cercano di evitare lo stretto di Gibilterra. Salvatore Mancuso lo conferma ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che vanno a interrogarlo nel carcere di Washington: «Avevamo paura di entrare in Europa dallo stretto di Gibilterra. Quello Mediterraneo è uno dei mari più controllati. Preferivamo far arrivare la droga dai porti del Nordeuropa e dalla Galizia». Per i narcos colombiani la cosa più importante è garantire la bajada, lo sbarco della merce.
«Oggi si utilizzano sempre di più le lance che passano per il Guatemala» aggiunge il tenente colonnello Canale. «A incoraggiare questa rotta è una discutibile legislazione che consente ai narcos di farla franca, ogni qualvolta vengono sorpresi con la droga a bordo. Anche sotto gli occhi dei poliziotti in arrivo, devono liberarsi del carico, buttandolo a mare. L’unico modo per finire in manette è farsi sorprendere con il carico a bordo.» Se invece si viaggia per via aerea, le rotte coinvolgono gli aeroporti di Colombia, Venezuela, Brasile. «Ogni tanto arriva qualcosa da Argentina, Messico, Cile e Santo Domingo » dicono gli analisti della Direzione centrale servizi antidroga. Per raggiungere da terra il Nordamerica, invece, si passa attraverso Panama e Messico. I punti di stoccaggio per gli Stati Uniti sono Santo Domingo, Guatemala, Honduras e Nicaragua, i vecchi «snodi» utilizzati anche da Pablo Escobar. Dalla Colombia la cocaina parte nei modi più disparati.
La ’ndrangheta predilige sempre i container via nave, mentre altre organizzazioni minori, che possono usare la via terrestre, scelgono gli chassis dei camion, le autocisterne con doppio fondo, i tetti dei pullman, e ancora fusti e barili di combustibile, i radiatori di vari veicoli, telai di moto e biciclette. I «muli» – cioè i corrieri della droga – che viaggiano a bordo di aerei di linea la ingeriscono in vari modi. Gli involucri contenenti la droga sono di materiali vari (gomma, plastica, lattice, cellophane, nastro isolante) – spesso si utilizzano anche i comuni preservativi – e possono essere introdotti nel corpo per via rettale, orale o vaginale. In altri casi, invece, i corrieri cercano la complicità di piloti o personale di bordo, nascondendo la cocaina nella cabina di comando o nei carrelli delle vivande. Quando riescono a ottenere la complicità del personale di terra, la droga viaggia nei vani bagagli.
Negli ultimi anni, la guardia di finanza dell’aeroporto di Fiumicino l’ha trovata nell’intercapedine dei quadri, nei tubetti di pasta dentifricia, mescolata con vernice o con polvere di titanio, e tra le merci più svariate, quali mobili o componenti industriali, ma anche nascosta nei doppi fondi delle valigie, nei barattoli per le conserve e la frutta sciroppata, nelle confezioni di varie creme cosmetiche, in piccoli spazi ricavati nelle suole e nei tacchi delle scarpe, nei portasapone, negli orologi a muro e in bottiglie in vetro che contenevano la droga disciolta in liquidi indicati come bevande. Un altro sistema molto sfruttato è quello di realizzare manufatti di produzione artigianale – statuine, busti, oggetti di varia foggia – impiegando come materia prima direttamente la sostanza stupefacente e lavorandola come se fosse cera.
In un recente rapporto della Direzione centrale dei servizi antidroga si cita una nuova tecnica utilizzata dai narcos, quella della «smolecolarizzazione», o dell’«impregnazione ». Si tratta della scomposizione della cocaina in molecole di materie trasportabili e non illegali, come l’idrogeno per esempio. Sostanze che, in tal modo, viaggiano separatamente e alla luce del sole, per poi venire riassemblate da chimici, una volta arrivate a destinazione. Uno dei metodi più sofisticati è l’utilizzo di materiali assorbenti come tessuti, cartone e libri. Carichi di cocaina impregnata vengono scoperti dalla polizia nel 2009 a Santiago del Cile e nel 2011 a Ibarra, in Ecuador. Secondo l’osservatorio europeo sulle droghe, «tra il 2008 e il 2010 la Spagna ha individuato e smantellato 73 impianti, la maggioranza dei quali costituita da laboratori di “estrazione secondaria”, utilizzati per estrarre la cocaina da altri materiali nei quali era nascosta, come cera d’api, fertilizzanti, plastica, prodotti alimentari o capi d’abbigliamento ».31 Un altro originale sistema per trasportare la cocaina viene rivelato ai magistrati da Lenny Barbanti, nativo di Livorno e sposato con la figlia di un luogotenente del cartello del Golfo. Nel maggio 2012, così dichiara a verbale:
“Dentro il carcere di Marsiglia ho inventato un nuovo sistema di trasporto di cocaina che utilizza i cani vivi. La sostanza viene inserita dentro un cilindro di circa 250 grammi; prima lo avvolgo nel cellophane, poi viene chiuso sottovuoto, poi nuovamente nel cellophane, poi nella carta carbone (affinché i raggi X non possano penetrare l’involucro), dopodiché ancora il cellophane e dopo uno scotch di vinile nero (ancor più resistente ai raggi X). Finito l’involucro è pronto per essere inserito dentro cani di grossa taglia tipo San Bernardo, Gran Danese, Dog de Bordeaux, Mastino Napoletano e Labrador. Il cane viene preparato a Città del Messico, per mano di un veterinario di nome Lallo, che opera un taglio cesareo ed inserisce cinque, massimo sei involucri preparati, nel diaframma di ogni cane. Affinché il viaggio fosse economicamente conveniente, dovevo spedire almeno due cani per ogni passeggero. Nell’ultimo anno, sempre attraverso lo scalo di Madrid, sono entrati ben 48 cani e nessuno di loro è mai stato fermato in quanto il sistema era davvero infallibile. Ogni cane aveva microchip ed era regolarmente denunciato”.
La fantasia dei narcos è, comunque, senza limiti. «Una volta nel Togo» racconta ancora il pubblico ministero Salvatore Curcio «ci è sfuggito un carico di 5000 chili di cocaina. Viaggiava su un container che trasportava pasta italiana proveniente… dall’Africa.»
© 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Tratto da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Oro Bianco. Storie di uomini, traffici e denaro dall’impero della cocaina, pp. 276, euro 18
Nicola Gratteri è uno dei magistrati più esposti nella lotta alla 'ndrangheta. Ha indagato sulla strage di Duisburg e sulle rotte internazionali del narcotraffico.
Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali, è uno dei massimi esperti di 'ndrangheta nel mondo. Ha scritto ventisette libri, tra cui alcuni bestseller internazionali.