Cresce la tensione a Juba tra i militari dell'Esercito per la Liberazione del Sudan, rimasti fedeli al presidente Kiir e quelli che hanno aderito alla ribellione. Obama: "Mettere fine alle violenze"
Quattro soldati statunitensi sono rimasti feriti - uno in maniera molto grave - durante un attacco di soldati dissidenti dell'esercito sud sudanese che hanno sparato dalla città" di Bor contro due aerei militari Usa V22 Osprey impegnati in operazioni di evacuazione nell'area, appena conquistata dai ribelli. Mediatori africani cercano di favorire trattative ed il presidente statunitense Barack Obama, "molto preoccupato per il futuro del Sud Sudan", ha telefonato al collega sud sudanese Salva Kiir per sollecitarne l'impegno a metter fine alle violenze, e ha annunciato per domani l'invio del mediatore Donald Booth. Mentre l'Unione Africana ha rivolto un appello per un immediato cessato il fuoco e una tregua natalizia. Aggiornato sui dettagli dell'attacco di Bor, Obama in serata ha poi fatto diffondere dalle isole Hawaii (dove è arrivato con la famiglia per le vacanze di fine d'anno) un messaggio nel quale ha chiesto ai dirigenti locali di contribuire alla sicurezza di militari e installazioni Usa nel Paese africano, ammonendo inoltre che le violenze minacciano non solo la popolazione, ma anche il cammino della giovane indipendenza sud-sudanese, e invocando la strada della "trattativa" come unica via d'uscita al bagno di sangue.
L'attacco agli aerei di sabato 21 è un ulteriore sviluppo della tensione ormai in corso da una settimana nel Sud Sudan, con scontri interetnici cominciati domenica sera nella capitale, Juba, tra militari dell'Spla (Esercito per la Liberazione del Sudan) rimasti fedeli al presidente Kiir (etnia Dinka) e quelli che hanno aderito alla ribellione guidata - secondo fonti non confermate dall'interessato - dall'ex vicepresidente Rijek Machar (etnia Nuer). Machar, tuttavia, in un'intervista aveva dichiarato che il presidente era un dittatore e che avrebbe trattato con lui solo per la sua rimozione dal potere, nonostante Kiir si sia detto pronto a "sedersi ad un tavolo" con l'avversario.
Tra domenica e lunedì scorsi erano scoppiati scontri armati molto violenti tra i due gruppi di militari a Juba, che avevano portato al massacro di 500 cittadini e all'esodo di altri 20mila verso basi dell'Onu. Erano seguite la conquista di Bor, capitale della regione petrolifera di Jongley, da parte di militari al comando del gen. Peter Gadet, fedele a Machar, e l'uccisione di tre (secondo l'ambasciatore indiano all'Onu) caschi blu indiani e numerosi civili nella base di Akobo (sempre nella regione di Jongley, al confine settentrionale con l'Etiopia). Ieri reparti ribelli avevano abbattuto un elicottero dell'ONU, senza provocare feriti, secondo notizie diffuse a New York. Oggi l'attacco dei ribelli ai due aerei Usa che - ha reso noto il Comando Africa statunitense - dovevano atterrare a Bor per evacuare persone in pericolo di vita.
Sembra che le truppe ribelli comandate dal gen. Gadet abbiano comunicato di non essere state informate dell'atterraggio dei due aerei e quindi di aver aperto il fuoco contro i velivoli, equipaggiati per volare sia come aerei che come elicotteri. Dopo la sparatoria entrambi gli Osprey si sono diretti verso un aeroporto imprecisato in un altro stato vicino.
Tra Kiir e Machar i rapporti non sono mai stati idilliaci. Entrambi ex collaboratori del colonnello John Garang, morto in un incidente aereo dopo aver combattuto per quasi 50 anni per l'indipendenza del Sud Sudan da Khartoum, ed aver raggiunto nel 2005 un accordo globale che portò alla separazione del Sud dal Nord con un referendum nel gennaio 2011. Da allora i rapporti tra Sud Sudan e Sudan, pur con fasi alterne, hanno avuto difficoltà legate soprattutto alla definizione dei confini dei due stati ed allo sfruttamento delle risorse petrolifere, che fanno del Sud Sudan il terzo produttore di petrolio in Africa dopo Angola e Nigeria.
L'attacco agli aerei di sabato 21 è un ulteriore sviluppo della tensione ormai in corso da una settimana nel Sud Sudan, con scontri interetnici cominciati domenica sera nella capitale, Juba, tra militari dell'Spla (Esercito per la Liberazione del Sudan) rimasti fedeli al presidente Kiir (etnia Dinka) e quelli che hanno aderito alla ribellione guidata - secondo fonti non confermate dall'interessato - dall'ex vicepresidente Rijek Machar (etnia Nuer). Machar, tuttavia, in un'intervista aveva dichiarato che il presidente era un dittatore e che avrebbe trattato con lui solo per la sua rimozione dal potere, nonostante Kiir si sia detto pronto a "sedersi ad un tavolo" con l'avversario.
Tra domenica e lunedì scorsi erano scoppiati scontri armati molto violenti tra i due gruppi di militari a Juba, che avevano portato al massacro di 500 cittadini e all'esodo di altri 20mila verso basi dell'Onu. Erano seguite la conquista di Bor, capitale della regione petrolifera di Jongley, da parte di militari al comando del gen. Peter Gadet, fedele a Machar, e l'uccisione di tre (secondo l'ambasciatore indiano all'Onu) caschi blu indiani e numerosi civili nella base di Akobo (sempre nella regione di Jongley, al confine settentrionale con l'Etiopia). Ieri reparti ribelli avevano abbattuto un elicottero dell'ONU, senza provocare feriti, secondo notizie diffuse a New York. Oggi l'attacco dei ribelli ai due aerei Usa che - ha reso noto il Comando Africa statunitense - dovevano atterrare a Bor per evacuare persone in pericolo di vita.
Sembra che le truppe ribelli comandate dal gen. Gadet abbiano comunicato di non essere state informate dell'atterraggio dei due aerei e quindi di aver aperto il fuoco contro i velivoli, equipaggiati per volare sia come aerei che come elicotteri. Dopo la sparatoria entrambi gli Osprey si sono diretti verso un aeroporto imprecisato in un altro stato vicino.
Tra Kiir e Machar i rapporti non sono mai stati idilliaci. Entrambi ex collaboratori del colonnello John Garang, morto in un incidente aereo dopo aver combattuto per quasi 50 anni per l'indipendenza del Sud Sudan da Khartoum, ed aver raggiunto nel 2005 un accordo globale che portò alla separazione del Sud dal Nord con un referendum nel gennaio 2011. Da allora i rapporti tra Sud Sudan e Sudan, pur con fasi alterne, hanno avuto difficoltà legate soprattutto alla definizione dei confini dei due stati ed allo sfruttamento delle risorse petrolifere, che fanno del Sud Sudan il terzo produttore di petrolio in Africa dopo Angola e Nigeria.