#OccupyGezi, la protesta in Turchia è anche social

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Una protesta fuori l'ambasciata della Turchia a Tel Aviv - Getty Images
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Mentre resta alta la tensione a Istanbul, in molti ricorrono a Twitter, Facebook e YouTube per far sentire la propria voce. E i dati sembrano confermare un utilizzo più intenso rispetto a quello di altre manifestazioni, a cominciare dalla Primavera Araba

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di Nicola Bruno


Mentre continuano le tensioni intorno a Gezi Park, molti cittadini di Istanbul ricorrono ai social media per ricevere informazioni di prima mano e condividere testimonianze delle violenze (questo Tumblr raccoglie molte immagini pubblicate online). Come nel caso delle proteste in Egitto e Turchia, anche qui i social network provano a riempire il vuoto lasciato dai media tradizionali. Ma, come sottolineano le prime analisi, ci potrebbe anche essere una differenza sostanziale rispetto alla Primavera Araba: la partecipazione online dei manifestanti turchi sembra essere molto più alta. Anche perché i social network sono da sempre molto popolari qui: 30 milioni di turchi sono iscritti a Facebook, mentre il 16% degli utenti Internet ha anche un profilo Twitter.

Il ruolo di Twitter
- Secondo una prima analisi pubblicata da due ricercatori del Social Media and Political Participation Laboratory della New York University, circa il 90% dei tweet che contengono gli hashtag della protesta (#direngeziparkı con 950.000 tweet, #occupygezi con 170.000 tweet e #geziparki con 50,000 tweet) provengono dalla Turchia e almeno 1 su 2 proprio da Istanbul. Rispetto alla Primavera araba (dove il 30% dei messaggi provenivano dall'Egitto, mentre il restante 70% dall'estero) qui Twitter viene utilizzato soprattutto dai cittadini locali per informare e mobilitare, come conferma anche il dato secondo cui l'88% dei messaggi è in turco (e non in inglese).
Una stima che prende però in considerazione solo gli utenti del social network che hanno scelto di indicare (geolocalizzare, appunto) il luogo da cui scrivono.
"Dietro questo straordinario numero di tweet c'è anche la mancanza percepita di copertura da parte dei media turchi", scrivono i ricercatori della NYU, che hanno anche realizzato una mappa, specificando la provenienza dei messaggi.





Le critiche alla Tv - A fronte dell'escalation delle violenze (il cui bilancio per ora parla di un manifestante morto e decine di feriti, tra cui anche un fotografo della Reuters), le principali tv turche continuano a parlare poco delle violenze. E' questa la denuncia che arriva da molti manifestanti turchi, come nel caso del tweet sotto che recita "In questo istante sulle tv turche".



"L'intero paese sembra vivere una disconnessione cognitiva, con Twitter che dice una cosa, il governo un'altra, e la televisione che si trova su un altro pianeta", ha raccontato sul New Yorker la scrittrice di origine turca Elif Batuman, sottolineando che "Twitter è l'unica fonte a cui tutti credono. L'hashtag #OccupyGezi ha aggregato centinaia, forse migliaia di appelli alla BBC, Reuters, CNN di mostrare al mondo quello che stava realmente accadendo".

Da piazza Tahrir a piazza Taksim - E proprio l'autocensura (o presunta tale) dei media turchi viene messa in luce anche da Zeynep Tufekci, studiosa di social media di origine turca, che in questi giorni sta seguendo da vicino le proteste online.



In un lungo post pubblicato sul suo blog, Tufekci ha paragonato la rivoluzione di Piazza Tahrir in Egitto a quella attuale in Turchia, sottolineando almeno otto caratteristiche che fanno esplodere una protesta nell'era dei social media (tra cui proprio la mancanza di una sponda istituzionale).
In tutto ciò, anche Twitter si è presto trasformato in un terreno di scontro: nelle ultime 24 ore si sono affermati 8 trending topic, di cui 4 a favore e 4 contrari alle manifestazioni. Nel dibattito online è intervenuto anche il premier Recep Tayyip Erdogan che ha definito i social media "la peggiore minaccia per la nostra società". Allo stesso tempo Erdogan ha scritto sul suo profilo Twitter: "Possiamo portare un milione di persone in piazza, quando l'opposizione riesce a radunarne solo qualche centinaio di migliaia".



Cronologia della protesta 2.0 - Il sito Azadolu ha invece ricostruito come è esplosa la protesta sui social media con un'utile cronologia 2.0. Tutto è cominciato con un tweet dello scorso 10 aprile, quando un gruppo di attivisti ha pubblicato un messaggio in cui invitava i cittadini di Istanbul a firmare una petizione per salvare Gezi Park dalla distruzione. La protesta è poi continuata con un festival organizzato tre giorni dopo, il 13 Aprile, a cui hanno partecipato un migliaio di persone. Le manifestazioni si sono svolte in maniera pacifica, senza nessun scontro con la polizia, per oltre un mese un mezzo, fino a quando lo scorso 27 maggio quando un piccolo gruppo di attivisti ha occupato Gezi Park nel tentativo di bloccare i lavori di distruzione.
Il clima è diventato più pesante quando la polizia ha provato a sgomberare gli occupanti e online hanno cominciato a circolare testimonianze subito diventate virali, come la foto di una donna attaccata con il gas lacrimogeno (scattata da un reporter della Reuters) e il video delle tende degli attivisti bruciate all'alba dalla polizia.
E' a questo punto che una piccola manifestazione locale si è trasformata in una delle proteste più violente degli ultimi anni in Turchia. Anche perché, nel frattempo, l'attenzione non era più su Gezi Park, ma sulle violenze della polizia, come ha sottolineato l'attore Memet Ali Alabora che ha scritto sul proprio account Twitter: "Non si tratta solo di Gezi Park, lo capite no? Muovetevi, venite qui".


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