Marò, il premier indiano a Monti: "Esclusa la pena di morte"

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In una telefonata al presidente del Consiglio, il primo ministro Singh ha garantito che il caso dei fucilieri non comporta la pena capitale. E ha assicurato: "Il tribunale speciale che dovrà giudicare i due militari sarà costituito in tempi brevi"

Schiarita nella vicenda dei marò, con l'incubo di una condanna alla pena di morte spazzato via una volta per tutte. E' stato il primo ministro indiano Manmohan Singh a garantire in una lunga telefonata con il premier Mario Monti che il caso dei due fucilieri non rientra fra quelli che possono comportare la pena capitale. Una rassicurazione che era arrivata in giornata anche dal ministro dell'Interno, Sushil Kumar Shinde. "Il nostro governo - aveva spiegato in un'intervista tv - ha preso un impegno internazionale con l'Italia secondo cui per i marò non sarà richiesta la pena di morte. Ed esso sarà onorato".

Nel colloquio con Monti, Singh si è detto inoltre convinto che il tribunale speciale che dovrà giudicare i due militari "sarà costituito in tempi brevi" e che anche l'intero procedimento "potrà essere concluso rapidamente" e in termini "positivi". Questo, ha puntualizzato il primo ministro indiano, grazie alla decisione dell'Italia "di rispettare l'impegno al rientro in India" dei due marò al termine della licenza concessa loro dalla Corte Suprema per le elezioni. Insomma, anche se molti aspetti giudiziari devono essere ancora definiti, la vicenda che in Italia ha portato alle dimissioni dell'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi sembra volgere al meglio, nello spirito di "giudizio e dialogo" auspicato anche oggi dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon.

La questione di una possibile applicazione della pena capitale, prevista nel Codice penale indiano e nella Legge sugli atti illegali nella navigazione (Sua), aveva in effetti inasprito le relazioni fra New Delhi e Roma, al punto che l'Italia aveva prospettato l'ipotesi di non rimandare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in India al termine del loro permesso elettorale. Solo un'assicurazione scritta sostenuta da una autorevole opinione di giuristi indiani inviata dal ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid al governo italiano aveva sbloccato l'impasse e permesso il rientro dei due nell'ambasciata d'Italia nella capitale indiana. Questo impegno sembrava ad un certo punto aver prodotto uno scontro fra ministeri indiani favorevoli (Esteri) e contrari (Giustizia ed Interno) a quello che poteva essere interpretato come un condizionamento dei giudici che devono processare i marò. Inoltre la decisione degli Interni di affidare le indagini alla Agenzia nazionale di investigazione (Nia), che si occupa di terrorismo, aveva ulteriormente complicato lo scenario.

Fino ad arrivare all'ultima schiarita, e all'esclusione ufficiale della possibilità di una condanna alla pena capitale. Con questo problema alle spalle, il governo indiano continua a lavorare al piano che dovrà presentare il 16 aprile prossimo alla Corte Suprema, in un'udienza in cui dovrà venire definitivamente alla luce anche la questione del tribunale speciale che dovrà giudicare i marò.

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