Castells: dall’Egitto a Occupy tra “indignazione e speranza”
MondoE' nelle librerie italiane l’ultimo saggio dello studioso catalano considerato il massimo esperto dell’impatto sociale di Internet. LEGGI L’ESTRATTO
di Manuel Castells
Lungo il corso della storia, i movimenti sociali sono stati, e continuano a essere, le leve portanti di trasformazioni sociali in senso ampio. Generalmente tali movimenti emergono da una crisi delle condizioni generali che rende la vita quotidiana insopportabile per la maggior parte delle persone e sono dovuti alla profonda sfiducia nelle istituzioni politiche che governano la società. La combinazione tra il degrado delle condizioni materiali di vita e la crisi di legittimità dei governanti nella gestione della res publica induce la gente a prendere in mano la situazione, impegnandosi in azioni collettive al di fuori dei canali istituzionali convenzionali a difesa delle proprie richieste, ed eventualmente per cambiare sia i governanti sia le norme che condizionano la loro vita. (...)
I movimenti sociali analizzati in questo libro, insieme ad altri emersi altrove nel mondo durante gli ultimi anni, presentano una serie di caratteristiche comuni.
Operano in rete sotto una molteplicità di forme. L’uso di Internet e delle reti di comunicazione mobile è essenziale, ma questo formato è multi-modale. Include i social network online e offline, così come quelli pre-esistenti, insieme a ogni altro network formatosi nel corso delle attivitaÌ del movimento stesso. Queste reti interne sono poi «in rete» con i movimenti di ogni parte del mondo, con la blogosfera, con i media e con la società nel suo complesso. Le tecnologie di rete sono cruciali perché offrono le piattaforme necessarie per questa pratica di rete, continua ed estesa, che va evolvendosi di pari passo alla forma cangiante del movimento. (...)
Pur se nati inizialmente sui social network di Internet, questi movimenti diventano tali occupando gli spazi urbani, che si tratti dell’occupazione di piazze pubbliche o della persistenza di manifestazioni in strada. Lo spazio del movimento è sempre costituito dall’interazione tra lo spazio dei flussi via Internet e reti di comunicazione wireless, e lo spazio dei luoghi occupati e degli edifici simbolici che sono bersaglio delle azioni di protesta. Questo ibrido tra cyberspazio e luoghi urbani rappresenta un terzo spazio che definisco lo spazio dell’autonomia. Nel senso che l’autonomia può essere garantita soltanto dalla capacità di organizzarsi nello spazio libero delle reti di comunicazione, ma al contempo puoÌ essere esercitata come forza trasformatrice solo sfidando l’ordine istituzionale disciplinato reclamando lo spazio urbano per i cittadini. Autonomia senza ribellione diventa arretramento, ribellione senza una base permanente per l’autonomia nello spazio dei flussi equivale a un attivismo saltuario. Lo spazio dell’autonomia è la nuova forma spaziale dei movimenti sociali in rete.
I movimenti sono al contempo locali e globali. Nascono in contesti specifici, per ragioni proprie, costruiscono reti autonome e creano il loro spazio pubblico occupando spazi urbani e attivando reti su Internet. Ma sono anche globali perché vanno collegandosi al mondo intero, imparano dalle esperienze altrui e vengono anzi da queste ispirati a impegnarsi nella mobilitazione in proprio. Danno inoltre vita a un dibattito continuo e globale su Internet, e a volte lanciano manifestazioni congiunte, diffuse e contemporanee all’interno della rete di spazi locali. Esprimono notevole consapevolezza dell’interdipendenza delle questioni e dei problemi in ballo per l’umanità in generale, e rivelano una chiara cultura cosmopolita pur essendo radicati nella propria identità specifica. In un certo senso, prefigurano il superamento dell’attuale dicotomia tra l’identitaÌ locale comune e il networking individuale a livello globale. (...)
Riguardo alla loro genesi, questi movimenti rivelano origini in gran parte spontanee e generalmente dovute a una scintilla di indignazione per un evento particolare oppure per un picco di disgusto per l’operato dei governanti. In tutti casi trovano origine da un appello all’azione diffuso dallo spazio dei flussi che punta a creare una comunitaÌ istantanea di pratiche ribelli nello spazio dei luoghi fisici. La fonte dell’appello ha minore rilevanza dell’impatto del messaggio sui molti destinatari generici, le cui emozioni trovano rispondenza nel contenuto e nella forma del messaggio stesso. EÌ fondamentale puntare sulla forza delle immagini. É probabile che nello stadio iniziale del movimento sia stato YouTube uno dei maggiori strumenti di mobilitazione. Particolarmente significative sono le immagini di violenta repressione da parte della polizia o di teppisti.
I movimenti sono virali, seguendo la logica delle reti su Internet. Ciò non è dovuto soltanto al carattere virale della diffusione del messaggio, in particolare per le immagini tese alla mobilitazione, ma anche per l’effetto dimostrativo dei movimenti che vanno emergendo ovunque. Questo fenomeno virale è stato osservato da un paese all’altro, da una città all’altra, da un’istituzione all’altra. Guardare e ascoltare le manifestazioni di protesta in atto da qualche parte, perfino in contesti lontani e culture differenti, ispira la mobilitazione perché fa scattare la speranza del possibile cambiamento.
La transizione dall’indignazione alla speranza viene raggiunta tramite la deliberazione nello spazio dell’autonomia. Normalmente il processo decisionale avviene nelle assemblee e nei comitati da queste designati. Si tratta anzi per lo più di movimenti senza leader. Non certo per la mancanza di possibili leader, bensì per via della profonda, spontanea sfiducia della maggioranza dei partecipanti verso ogni forma di delega del potere. Questa caratteristica essenziale dei movimenti analizzati scaturisce direttamente da una delle motivazioni alla base dei movimenti stessi: il rifiuto della rappresentanza politica da parte dei rappresentati, dopo essere stati traditi e manipolati nell’esperienza della politica tradizionale. (...)
Le reti orizzontali e multimodali, sia su Internet sia negli spazi urbani, creano unita – punto chiave per il movimento, perché è tramite la compartecipazione che si supera la paura e si scopre la speranza. Non si tratta di comunita, perché quest’ultima implica una serie di valori con- divisi, e questo è piuttosto un impegno continuo del movimento, percheì molti vi entrano spinti da motivazioni e obiettivi personali, decisi a scoprire le potenziali comunanze nella pratica quotidiana. (...)
Questi movimenti praticano al meglio l’autoriflessione. Si interrogano continuamente, sia come movimenti sia in quanto individui, su chi sono e cosa vogliono, su quale tipo di democrazia e di societaÌ perseguono, e su come evitare le trappole e le lacune di così tanti movimenti il cui fallimento è dovuto al fatto di aver riprodotto al loro interno quei meccanismi del sistema che volevano cambiare, particolarmente in termini di delega politica di autonomia e sovranità. Questa pratica di autoriflessione si manifesta nel processo deliberativo dell’assemblea come anche in molti forum su Internet, in una miriade di blog e gruppi di discussione sui social network. (...)
Raramente si tratta di movimenti programmatici, eccetto quando si concentrano su un’unica questione specifica: basta con la dittatura. Avanzano comunque una serie di richieste: la maggior parte delle volte, tutte le richieste possibili avanzate da cittadini assai entusiasti di poter decidere le proprie condizioni di vita. Trattandosi però di richieste molteplici e di motivazioni illimitate, diventa impossibile formalizzare una qualsiasi organizzazione o leadership perché il consenso e l’unità interni dipendono da deliberazioni e proteste ad hoc, non relative al com- pletamento di un programma predisposto intorno a obiettivi specifici: questa è la loro forza (attirare l’attenzione generale) e la loro debolezza (com’è possibile ottenere qualcosa quando gli obiettivi sono così vaghi?). (...)
Si tratta dunque di movimenti sociali mirati a trasformare i valori della società, ma possono anche diventare movimenti di pubblica opinione con risultati a livello elettorale. Puntano a trasformare lo stato senza però impadronirsene. Esprimono sentimenti e rinfocolano il dibattito ma non creano partiti né appoggiano governi, pur potendo diventare un obiettivo del marketing politico. Tuttavia, hanno un carattere decisamente politico in senso stretto, in particolare quando propongono e praticano la democrazia diretta e deliberativa basata sulla democrazia in rete. Proiettano una nuova utopia di democrazia in rete fondata sulle comunità locali e su quelle virtuali in interazione.
Tutti i diritti riservati: Egea - Università Bocconi Editore 2012
Tratto da: Manuel Castells, Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet, Egea, pp. 304, euro 25.
Manuel Castells è professore di Sociologia e direttore dell’Internet Interdisciplinary Institute della Universidad Oberta de Catalunya (UOC), a Barcellona. E’ inoltre docente di Sociologia e titolare della cattedra Wallis Anneberg di Tecnologia della comunicazione e società alla University of Southern California (USC), Los Angeles. E’ professore emerito di City and Regional Planing alla University of California, Berkeley.
Lungo il corso della storia, i movimenti sociali sono stati, e continuano a essere, le leve portanti di trasformazioni sociali in senso ampio. Generalmente tali movimenti emergono da una crisi delle condizioni generali che rende la vita quotidiana insopportabile per la maggior parte delle persone e sono dovuti alla profonda sfiducia nelle istituzioni politiche che governano la società. La combinazione tra il degrado delle condizioni materiali di vita e la crisi di legittimità dei governanti nella gestione della res publica induce la gente a prendere in mano la situazione, impegnandosi in azioni collettive al di fuori dei canali istituzionali convenzionali a difesa delle proprie richieste, ed eventualmente per cambiare sia i governanti sia le norme che condizionano la loro vita. (...)
I movimenti sociali analizzati in questo libro, insieme ad altri emersi altrove nel mondo durante gli ultimi anni, presentano una serie di caratteristiche comuni.
Operano in rete sotto una molteplicità di forme. L’uso di Internet e delle reti di comunicazione mobile è essenziale, ma questo formato è multi-modale. Include i social network online e offline, così come quelli pre-esistenti, insieme a ogni altro network formatosi nel corso delle attivitaÌ del movimento stesso. Queste reti interne sono poi «in rete» con i movimenti di ogni parte del mondo, con la blogosfera, con i media e con la società nel suo complesso. Le tecnologie di rete sono cruciali perché offrono le piattaforme necessarie per questa pratica di rete, continua ed estesa, che va evolvendosi di pari passo alla forma cangiante del movimento. (...)
Pur se nati inizialmente sui social network di Internet, questi movimenti diventano tali occupando gli spazi urbani, che si tratti dell’occupazione di piazze pubbliche o della persistenza di manifestazioni in strada. Lo spazio del movimento è sempre costituito dall’interazione tra lo spazio dei flussi via Internet e reti di comunicazione wireless, e lo spazio dei luoghi occupati e degli edifici simbolici che sono bersaglio delle azioni di protesta. Questo ibrido tra cyberspazio e luoghi urbani rappresenta un terzo spazio che definisco lo spazio dell’autonomia. Nel senso che l’autonomia può essere garantita soltanto dalla capacità di organizzarsi nello spazio libero delle reti di comunicazione, ma al contempo puoÌ essere esercitata come forza trasformatrice solo sfidando l’ordine istituzionale disciplinato reclamando lo spazio urbano per i cittadini. Autonomia senza ribellione diventa arretramento, ribellione senza una base permanente per l’autonomia nello spazio dei flussi equivale a un attivismo saltuario. Lo spazio dell’autonomia è la nuova forma spaziale dei movimenti sociali in rete.
I movimenti sono al contempo locali e globali. Nascono in contesti specifici, per ragioni proprie, costruiscono reti autonome e creano il loro spazio pubblico occupando spazi urbani e attivando reti su Internet. Ma sono anche globali perché vanno collegandosi al mondo intero, imparano dalle esperienze altrui e vengono anzi da queste ispirati a impegnarsi nella mobilitazione in proprio. Danno inoltre vita a un dibattito continuo e globale su Internet, e a volte lanciano manifestazioni congiunte, diffuse e contemporanee all’interno della rete di spazi locali. Esprimono notevole consapevolezza dell’interdipendenza delle questioni e dei problemi in ballo per l’umanità in generale, e rivelano una chiara cultura cosmopolita pur essendo radicati nella propria identità specifica. In un certo senso, prefigurano il superamento dell’attuale dicotomia tra l’identitaÌ locale comune e il networking individuale a livello globale. (...)
Riguardo alla loro genesi, questi movimenti rivelano origini in gran parte spontanee e generalmente dovute a una scintilla di indignazione per un evento particolare oppure per un picco di disgusto per l’operato dei governanti. In tutti casi trovano origine da un appello all’azione diffuso dallo spazio dei flussi che punta a creare una comunitaÌ istantanea di pratiche ribelli nello spazio dei luoghi fisici. La fonte dell’appello ha minore rilevanza dell’impatto del messaggio sui molti destinatari generici, le cui emozioni trovano rispondenza nel contenuto e nella forma del messaggio stesso. EÌ fondamentale puntare sulla forza delle immagini. É probabile che nello stadio iniziale del movimento sia stato YouTube uno dei maggiori strumenti di mobilitazione. Particolarmente significative sono le immagini di violenta repressione da parte della polizia o di teppisti.
I movimenti sono virali, seguendo la logica delle reti su Internet. Ciò non è dovuto soltanto al carattere virale della diffusione del messaggio, in particolare per le immagini tese alla mobilitazione, ma anche per l’effetto dimostrativo dei movimenti che vanno emergendo ovunque. Questo fenomeno virale è stato osservato da un paese all’altro, da una città all’altra, da un’istituzione all’altra. Guardare e ascoltare le manifestazioni di protesta in atto da qualche parte, perfino in contesti lontani e culture differenti, ispira la mobilitazione perché fa scattare la speranza del possibile cambiamento.
La transizione dall’indignazione alla speranza viene raggiunta tramite la deliberazione nello spazio dell’autonomia. Normalmente il processo decisionale avviene nelle assemblee e nei comitati da queste designati. Si tratta anzi per lo più di movimenti senza leader. Non certo per la mancanza di possibili leader, bensì per via della profonda, spontanea sfiducia della maggioranza dei partecipanti verso ogni forma di delega del potere. Questa caratteristica essenziale dei movimenti analizzati scaturisce direttamente da una delle motivazioni alla base dei movimenti stessi: il rifiuto della rappresentanza politica da parte dei rappresentati, dopo essere stati traditi e manipolati nell’esperienza della politica tradizionale. (...)
Le reti orizzontali e multimodali, sia su Internet sia negli spazi urbani, creano unita – punto chiave per il movimento, perché è tramite la compartecipazione che si supera la paura e si scopre la speranza. Non si tratta di comunita, perché quest’ultima implica una serie di valori con- divisi, e questo è piuttosto un impegno continuo del movimento, percheì molti vi entrano spinti da motivazioni e obiettivi personali, decisi a scoprire le potenziali comunanze nella pratica quotidiana. (...)
Questi movimenti praticano al meglio l’autoriflessione. Si interrogano continuamente, sia come movimenti sia in quanto individui, su chi sono e cosa vogliono, su quale tipo di democrazia e di societaÌ perseguono, e su come evitare le trappole e le lacune di così tanti movimenti il cui fallimento è dovuto al fatto di aver riprodotto al loro interno quei meccanismi del sistema che volevano cambiare, particolarmente in termini di delega politica di autonomia e sovranità. Questa pratica di autoriflessione si manifesta nel processo deliberativo dell’assemblea come anche in molti forum su Internet, in una miriade di blog e gruppi di discussione sui social network. (...)
Raramente si tratta di movimenti programmatici, eccetto quando si concentrano su un’unica questione specifica: basta con la dittatura. Avanzano comunque una serie di richieste: la maggior parte delle volte, tutte le richieste possibili avanzate da cittadini assai entusiasti di poter decidere le proprie condizioni di vita. Trattandosi però di richieste molteplici e di motivazioni illimitate, diventa impossibile formalizzare una qualsiasi organizzazione o leadership perché il consenso e l’unità interni dipendono da deliberazioni e proteste ad hoc, non relative al com- pletamento di un programma predisposto intorno a obiettivi specifici: questa è la loro forza (attirare l’attenzione generale) e la loro debolezza (com’è possibile ottenere qualcosa quando gli obiettivi sono così vaghi?). (...)
Si tratta dunque di movimenti sociali mirati a trasformare i valori della società, ma possono anche diventare movimenti di pubblica opinione con risultati a livello elettorale. Puntano a trasformare lo stato senza però impadronirsene. Esprimono sentimenti e rinfocolano il dibattito ma non creano partiti né appoggiano governi, pur potendo diventare un obiettivo del marketing politico. Tuttavia, hanno un carattere decisamente politico in senso stretto, in particolare quando propongono e praticano la democrazia diretta e deliberativa basata sulla democrazia in rete. Proiettano una nuova utopia di democrazia in rete fondata sulle comunità locali e su quelle virtuali in interazione.
Tutti i diritti riservati: Egea - Università Bocconi Editore 2012
Tratto da: Manuel Castells, Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet, Egea, pp. 304, euro 25.
Manuel Castells è professore di Sociologia e direttore dell’Internet Interdisciplinary Institute della Universidad Oberta de Catalunya (UOC), a Barcellona. E’ inoltre docente di Sociologia e titolare della cattedra Wallis Anneberg di Tecnologia della comunicazione e società alla University of Southern California (USC), Los Angeles. E’ professore emerito di City and Regional Planing alla University of California, Berkeley.