Le organizzazioni internazionali lanciano l'allarme: l’informazione è sempre più a rischio. "Le autorità devono garantire la possibilità di lavorare liberamente senza timore di rappresaglie" chiede il Committee to protect Journalist
Aveva 22 anni, era un giornalista. Il 5 aprile uomini armati sono entrati nella sua abitazione, nella città di Beledweyne, a sud della Somalia, e hanno aperto il fuoco. Secondo quanto denunciato dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Cpj), dall’inizio del 2012 in Somalia sono stati uccisi almeno 4 giornalisti. Una media di uno al mese.
Una situazione preoccupante che trova terreno fertile in un Paese piegato dalla guerra civile e in balia di gruppi tribali. Da quell'area del Corno d'Africa, martoriata dalla carestia, continuano a giungere notizie di scontri e attentati. Il 9 aprile una bomba esplosa in un mercato del Sud del paese ha provocato la morte di 11 persone, in maggioranza donne e bambini. Qualche giorno prima, invece, le milizie islamiche di Al Shabaabal hanno rivendicato l'atto terroristico al Teatro nazionale di Mogadiscio al quale è scampato il premier Abdiweli Mohamed Ali.
In Somalia, però, documentare le violenze e le violazioni dei diritti civili è sempre più difficile.
Il giornalista ucciso all'inizio di aprile si chiamava Mohammad Salad Adan, lavorava per due radio locali, The Voice e Radio Shabelle di Mogadiscio. Si era da poco occupato del conflitto che vede schierati il governo somalo e gli alleati etiopi contro il gruppo islamico Al-Shabaab e, secondo quanto riferiscono alcuni colleghi, aveva duramente criticato le milizie legata ad al Qaeda.
"Chiediamo alle autorità somale di arrestare gli assassini di Adan e prendere tutte le misure necessarie per garantire ai giornalisti la possibilità di lavorare liberamente senza timore di rappresaglie” è la richiesta fatta al governo dal Comitato che ha sede a New York.
I dati diffusi dalle ong restituiscono l’immagine di un Paese dove sempre più spesso il dissenso è punito con intimidazioni, se non con la morte. Nella classifica annuale per la libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere, la Somalia occupa infatti il 164esimo posto su 179 Paesi. E i colpevoli di crimini contro operatori dell’informazione sono raramente assicurati alla giustizia. Secondo l’indice annuale pubblicato dal Committee to Protect Journlists , pubblicato nel luglio 2011, “con 10 omicidi irrisolti negli ultimi dieci anni, la Somalia ha detiene il primato in Africa e si piazza al numero due della classifica mondiale”. (Al primo posto della classifica si piazza l’Iraq negli ultimi dieci anni gli omicidi sono stati 92. In nessun caso sono stati scoperti assassini e mandanti).
A questo, va aggiunto che nelle zone controllate dalle milizie islamiche di Al Shabaab, movimento ostile a qualsiasi intervento occidentale, è proibito l’accesso ai giornalisti e persino agli operatori stranieri.
Intanto, sarebbero più di 8 milioni le persone in tutto il Corno d'Africa che necessitano urgentemente di assistenza. E' l'allarme lanciato da Unicef che nel rapporto "Risposta all'emergenza nel Corno d'Africa", denuncia come quasi un terzo della popolazione della Somalia - circa 2,51 milioni di persone - viva ancora una grave crisi umanitaria, compresi più di 323.000 bambini affetti da malnutrizione acuta.
Una situazione preoccupante che trova terreno fertile in un Paese piegato dalla guerra civile e in balia di gruppi tribali. Da quell'area del Corno d'Africa, martoriata dalla carestia, continuano a giungere notizie di scontri e attentati. Il 9 aprile una bomba esplosa in un mercato del Sud del paese ha provocato la morte di 11 persone, in maggioranza donne e bambini. Qualche giorno prima, invece, le milizie islamiche di Al Shabaabal hanno rivendicato l'atto terroristico al Teatro nazionale di Mogadiscio al quale è scampato il premier Abdiweli Mohamed Ali.
In Somalia, però, documentare le violenze e le violazioni dei diritti civili è sempre più difficile.
Il giornalista ucciso all'inizio di aprile si chiamava Mohammad Salad Adan, lavorava per due radio locali, The Voice e Radio Shabelle di Mogadiscio. Si era da poco occupato del conflitto che vede schierati il governo somalo e gli alleati etiopi contro il gruppo islamico Al-Shabaab e, secondo quanto riferiscono alcuni colleghi, aveva duramente criticato le milizie legata ad al Qaeda.
"Chiediamo alle autorità somale di arrestare gli assassini di Adan e prendere tutte le misure necessarie per garantire ai giornalisti la possibilità di lavorare liberamente senza timore di rappresaglie” è la richiesta fatta al governo dal Comitato che ha sede a New York.
I dati diffusi dalle ong restituiscono l’immagine di un Paese dove sempre più spesso il dissenso è punito con intimidazioni, se non con la morte. Nella classifica annuale per la libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere, la Somalia occupa infatti il 164esimo posto su 179 Paesi. E i colpevoli di crimini contro operatori dell’informazione sono raramente assicurati alla giustizia. Secondo l’indice annuale pubblicato dal Committee to Protect Journlists , pubblicato nel luglio 2011, “con 10 omicidi irrisolti negli ultimi dieci anni, la Somalia ha detiene il primato in Africa e si piazza al numero due della classifica mondiale”. (Al primo posto della classifica si piazza l’Iraq negli ultimi dieci anni gli omicidi sono stati 92. In nessun caso sono stati scoperti assassini e mandanti).
A questo, va aggiunto che nelle zone controllate dalle milizie islamiche di Al Shabaab, movimento ostile a qualsiasi intervento occidentale, è proibito l’accesso ai giornalisti e persino agli operatori stranieri.
Intanto, sarebbero più di 8 milioni le persone in tutto il Corno d'Africa che necessitano urgentemente di assistenza. E' l'allarme lanciato da Unicef che nel rapporto "Risposta all'emergenza nel Corno d'Africa", denuncia come quasi un terzo della popolazione della Somalia - circa 2,51 milioni di persone - viva ancora una grave crisi umanitaria, compresi più di 323.000 bambini affetti da malnutrizione acuta.