Aarhus, cosa accade nella più grande banca del seme d'Europa

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Nella seconda città della Danimarca si trova la Cryos International, che ha permesso a oggi la nascita di oltre 16mila bambini. Beda Romano ne racconta la storia in un saggio (La Chiesa contro) scritto col padre, l'ex ambasciatore Sergio. L'ESTRATTO

di Beda Romano

La tecnica della fecondazione in vitro o più in generale dell’inseminazione artificiale è ormai collaudata, ed è diventata un’operazione relativamente comune in molti paesi: è ormai un’attività economica.
Negli ultimi trent’anni sono nate numerose banche del seme: le prime furono create nel 1964, prima ancora quindi della nascita di Louise, in Giappone e negli Stati Uniti, quando fu scoperto che il seme umano poteva essere facilmente congelato e quindi utilizzato in un secondo momento.
Sono società impegnate nella raccolta di liquido seminale umano, conservato in piccole fiale di 0,4-1,0 millilitri e congelato in serbatoi di azoto liquido a –196 gradi centigradi prima di essere utilizzato anche anni dopo in eventuali operazioni di fecondazione assistita.
La più importante si trova ad Aarhus, la seconda città della Danimarca e il primo porto del paese, nella penisola dello Jutland.
Cryos International ha permesso finora la nascita, in provetta o per inseminazione artificiale, di oltre sedicimila bambini in decine di paesi del mondo. A fondarla nel 1987 è stato Ole Schou, un imprenditore sui generis, tutt’ora proprietario di una società che ha appena cinquanta dipendenti.
Mi riceve in un freddo e nevoso pomeriggio di gennaio in un piccolo ufficio nel centro di una cittadina fondata dai vichinghi nell’VIII secolo. E' un uomo alto e sorridente, dal portamento sportivo. Pur scarno, l’ambiente è accogliente, i mobili e le porte di quel legno chiaro tanto di moda nei paesi scandinavi.

«Un’attività imprenditoriale nel settore della salute», mi spie- ga Ole Schou, «comporta inevitabilmente problemi etici, tanto più nel settore della procreazione assistita, dove la tecnica, migliorata tantissimo negli ultimi anni, offre soluzioni e possibilità impensabili anche solo un decennio fa. Le assicuro che il peso della responsabilità è enorme. Noi stessi all’interno della nostra piccola società non sempre siamo d’accordo sulle scelte da fare.»
Il signor Schou non è un medico, né ha fatto studi di biologia o di fisiologia. «Sono nato nel 1954, qui ad Aarhus. Mio padre era un dirigente d’azienda, lavorava per la società petrolifera locale; mia madre invece era una segretaria all’Università. Ho due fratelli e ho frequentato una scuola che applicava la pedagogia di Rudolf Steiner, l’educatore austriaco.
Credo mi ab-bia aiutato a riflettere fuori dagli schemi. In un primo momen to volevo fare il pittore o lo scultore e ho studiato archeologia. Questa passione mi è rimasta: non solo Cryos significa ghiaccio in greco, ma il nostro logo è il simbolo della vita nell’alfabeto egiziano.
Presto però ho capito che l’archeologia era una materia un po’ troppo noiosa per me. Per un certo periodo ho fatto il giardiniere, il marinaio, il falegname, senza dimenticare alcu ni sport estremi, come l’alpinismo di cui sono un vero appassionato. Ho concluso gli studi universitari con un diploma in gestione d’impresa. Ho lavorato per un paio di anni in una società che fabbricava mobili. Poi all’improvviso mi sono interessato all’inseminazione artificiale e alla possibilità di creare una banca del seme. Cryos nasce nel 1987 anche se le prime donazioni di liquido seminale furono consegnate alle cliniche che ne avevano fatto richiesta nel 1991. Non è un caso se la più grande banca del seme nel mondo sia danese. La nostra è tradizionalmente una società di marinai. Le prime inseminazioni artificiali, attraverso il congelamento del seme, sono avvenute in coppie nel quale il marito viaggiava spesso per mare e non poteva essere presente nel periodo di fecondazione della moglie. Poi gradualmente, grazie al progresso scientifico e a un cambiamento nei costumi, l’uso dell’inseminazione artificiale o della fecondazione in vitro si è via via allargato.»

Secondo Ole Schou, nel mondo circa il 10-15 per cento delle coppie scopre a un certo punto della propria esistenza di non poter procreare, vuoi per una patologia dell’uomo (nel 30 per cento dei casi), vuoi per una disfunzione della donna (in un altro 30 per cento), oppure addirittura senza che se ne conoscano le reali cause. «Le coppie che si trovano in questa situazione», spiega il fondatore della società danese, «hanno almeno tre possibilità, se le cure mediche non hanno effetto: prima di tutto possono decidere di non avere figli, anche se questa è una scelta socialmente difficile, e umanamente traumatica; in secondo luogo possono scegliere l’adozione, ma per molte donne è una decisione complessa perché vorrebbero poter vivere l’esperienza della gravidanza ed essere madri; infine possono tentare la strada dell’inseminazione artificiale o addirittura della fecondazione in vitro, con il seme del marito o di un donatore, se lo sperma del compagno non è utilizzabile. Nel corso dell’ultimo decennio, il nostro ruolo è cambiato. Come le dicevo prima, in un primo tempo le banche del seme raccoglievano sperma per ovviare a problemi molto pratici, l’assenza del partner alla data di un potenziale concepimento o una cura contro il cancro che avrebbe reso l’uomo almeno temporaneamente infertile. I nostri clienti erano coppie eterosessuali tendenzialmente sposate, alle prese con una malformazione o una patologia fonte di preoccupazioni e angosce. Oggi sono anche coppie omosessuali, se non addirittura donne single. Questi non sono pazienti, bensì clienti. In questo senso, il mercato si è modificato radicalmente, e la nostra attività è diventata molto più commerciale.»

Più commerciale, e anche più delicata di prima, perché incrocia problemi morali che, come nel gioco delle matriosche russe, sembrano non finire mai: risolta una questione ne appare subito un’altra. Il concetto stesso di famiglia, basato su legami genetici tra le diverse generazioni, sta cambiando rapidamente.
La società di Ole Schou conta circa trecentotrenta donatori, più altri trecento in quarantena, in attesa che le molte analisi di laboratorio abbiano dato i necessari risultati. Circa trecentodieci sono di nazionalità danese. Il momento della selezione è cruciale, in parte regolamentato a livello europeo da una direttiva del 2004, entrata in vigore nel 2007, sui tessuti e le cellule umane. Prosegue il mio interlocutore: «Facciamo pubblicità sui giornali o alla televisione. Cerchiamo uomini tra i 18 e i 45 anni, che non appartengano a gruppi definiti a rischio, per esempio gli omosessuali per paura della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids). Siamo di fronte a una discriminazione, ma così ci impone la legge danese. Dal mio punto di vista questa limitazione non mi pare necessaria, visto che un test per scoprire l’eventuale virus è possibile, ma così è. Chi vuole donare il proprio seme deve rispondere a un questionario di circa cento domande. Il nostro obiettivo è di avere un quadro il più esauriente possibile della sua storia personale e famigliare con l’obiettivo di individuare per tempo eventuali disordini genetici e ridurre i rischi.

Non è facile capire fin dove spingersi: è giusto per esempio chiedere al donatore se porta occhiali e quante diottrie gli mancano? Il dubbio non è banale né da un punto di vista medico, né da un punto di vista morale. Comunque, il seme verrà distribuito solo dopo un periodo di sei mesi, durante il quale verra` testato regolarmente, in particolare contro l’Aids.
La raccolta e il vaglio del liquido seminale prevedono anche domande specifiche sul tipo di istruzione e di occupazione della persona. Paghiamo 35 euro a donazione: evidentemente chi dona non lo fa per diventare ricco, ma per motivi altruistici».
La selezione deve tenere conto da un lato delle regole sanitarie più rigorose e dall’altro dei desideri di coloro che faranno uso della donazione. «In passato», continua il signor Schou, «per le coppie che volevano avere figli l’essenziale era poter beneficiare del seme di un donatore per ovviare a una loro infermità. Oggi la procreazione assistita ha messo radici e la questione è diventata molto più complessa. Vogliono conoscere tutto del donatore. Addirittura, molti uomini vorrebbero che il bambino rassomigliasse loro il più possibile. Dobbiamo quindi offrire campioni molto vari, che precisino volta per volta l’origine etnica, l’altezza, il colore degli occhi e dei capelli, il peso, e così via. Tra l’altro mettiamo a disposizione un messaggio del donatore scritto a mano, che può permettere eventualmente un’analisi calligrafica e quindi aiutare nella scelta. Negli Stati Uniti il profiling è molto esteso: tra i vari criteri, dico per scherzare, ci potrebbe anche essere in certi casi la richiesta di un sosia di Charlie Chaplin. Per ora, noi qui in Europa non facciamo questo genere di cose, ma mi chiedo se in futuro non lo faremo, visto che la domanda del cliente finale ci spinge in questa direzione. Devo ammettere che in prima battuta la tendenza americana non mi piaceva. Ma poi, riflettendoci, non la trovo così criticabile o preoccupante. Anzi, mi sembra più naturale: non facciamo forse una selezione anche drastica nella vita di tutti i giorni, quando scegliamo il nostro partner? Tutta l’evoluzione della nostra specie è il risultato di una selezione. Credo che Cryos debba difendere le necessità e assecondare i desideri dell’individuo in questo campo, anche perché l’identikit dei nostri clienti è cambiato moltissimo in questi anni.»

Un tempo i pazienti di Cryos International erano all’80 per cento eterosessuali. Oggi gli omosessuali – uomini e donne – sono saliti al 30 per cento del totale. Negli Stati Uniti la proporzione è ancor più sorprendente: metà di coloro che si rivolgono alle banche del seme per un’inseminazione artificiale o una fecondazione in vitro sono single. Aggiunge Schou: «Assistiamo sempre più spesso al desiderio di donne molto istruite – giornaliste, medici o avvocate – pronte a soddisfare all’età di trent’anni il bisogno biologico della gravidanza. Avendo tralasciato la vita sentimentale per studiare e per assicurarsi una carriera, il compagno della vita lo cercheranno più tardi. Prima vogliono avere un bambino».
Longanesi & C. © 2012 – Milano

Tratto da Sergio e Beda Romano, La Chiesa contro, Longanesi.

Sergio Romano, nato a Vicenza nel 1929, ha iniziato la carriera diplomatica nel 1954. Dopo essere stato ambasciatore della NATO e, dal settembre 1985 al marzo 1989, ambasciatore a Mosca, si è dimesso. Come storico si è occupato prevalentemente di storia italiana e francese tra Otto e Novecento. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Berkeley, Harvard, Pavia e, per alcuni anni, all'Università Bocconi di Milano. È editorialista del Corriere della Sera e di Panorama.

Beda Romano (Roma, 1967) è il corrispondente del Sole 24 Ore da Bruxelles, dopo esserlo stato per lungo tempo dalla Germania. Ha studiato Diritto Internazionale e Scienze Politiche a Milano, Chicago e Parigi e ha scritto per numerose testate europee e americane, tra cui Le Point e USA Today. Per il Mulino ha pubblicato La veduta corta (2009), una lunga conversazione con Tommaso Padoa-Schioppa sulla crisi finanziaria e le sue conseguenze politiche ed economiche.

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