Bradley Manning, un informatore alla sbarra
MondoIl 16 dicembre comincia con un'udienza preliminare il processo al soldato americano considerato la “talpa” di Julian Assange. Finisce così un limbo giuridico iniziato a maggio 2010, quando fu arrestato con l’accusa di essere la fonte di WikiLeaks
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Ci sono voluti 18 mesi di carcere preventivo ma alla fine il momento del processo è arrivato. Dal 16 dicembre Bradley Manning, il soldato accusato di essere la “talpa” dietro i grandi scoop realizzati da WikiLeaks lo scorso anno, potrà difendersi davanti ad un giudice, o almeno valutare concretamente le prove contro di lui. Inizia infatti quel giorno, presso la base militare di Fort Meade nel Maryland, l'udienza preliminare nella quale si deciderà se Manning, arrestato in Iraq nel maggio 2010, dovrà presentarsi davanti alla corte marziale e, nel caso, di quali accuse dovrà rispondere. Ritenuto responsabile di avere consegnato a Julian Assange i materiali per le sue mega-rivelazioni (tra questi i dispacci diplomatici del cosiddetto cablegate), il ventitreenne analista informatico negli Stati Uniti è considerato da alcuni (il regista Michael Moore per esempio) un eroe della libertà di informazioni e da altri un traditore. L'esito del processo non cambierà le opinioni dei due schieramenti, ma di certo deciderà della sorte di un ragazzo che si è trovato al centro – con che ruolo si vedrà - di quella che è stata definita “la più grande diffusione di informazioni riservate della storia” e che ha messo in grave imbarazzo gli Stati Uniti.
ACCUSE E PROVE – Nell'udienza preliminare di Fort Meade, che potrebbe durare anche parecchi giorni, i giudici valuteranno le accuse formulate dai pubblici ministeri e decideranno eventualmente quali potranno essere ammesse al processo. Nel luglio 2010 Manning era stato genericamente accusato di avere trasferito sul suo computer materiale classificato recuperato da SIPRnet, la rete Intranet utilizzata dal dipartimento della Difesa e dal dipartimento di Stato per condividere di documenti segreti, e di avere trasmesso questo materiale a persone non autorizzate. Nel marzo di quest'anno l'esercito ha formulato altri 22 capi di imputazione, tra questi quello di “aiuto al nemico” che, se provato, prevede tra le possibili pene anche la morte. I pubblici ministeri si basano principalmente sulle conversazioni via chat intrattenute da Manning con l'ex hacker americano Adrian Lamo. E' stato lo stesso Lamo, in passato condannato per essere penetrato nei sistemi informatici del New York Times, a denunciare il soldato all'FBI nel maggio del 2010. In questi dialoghi, che i militari ritengono autentici, il presunto informatore di WikiLeaks afferma, tra le altre cose, di avere consegnato ad “un pazzo australiano dai capelli bianchi” un video che rivela l'uccisione di civili in Iraq da parte di soldati americani e 250 mila dispacci diplomatici, roba – aggiunge – da “far venire un attacco di cuore” a Hillary Clinton.
EFFETTI MODESTI – Squarci sulla linea difensiva di Manning sono stati aperti da alcuni documenti resi pubblici nelle ultime settimane dal suo avvocato, David Coombs. Secondo quello che traspare da una richiesta di messa a disposizione di prove, i legali del soldato puntano a dimostrare la sostanziale innocuità delle rivelazioni di WikiLeaks. Coombs ha domandato infatti copia di un rapporto commissionato dalla Casa Bianca sugli effetti delle informazioni trafugate che rivelerebbe “la natura tutto sommato benigna delle informazioni e l'assenza di ogni reale danno alla sicurezza nazionale”. La difesa ha chiesto anche di poter prendere visione di analoghe indagini del dipartimento di Stato e del dipartimento della Giustizia in cui, scrive sempre l'avvocato, “si conclude che tutte le informazioni che si suppone siano state rivelate erano o datate o opinioni di basso livello oppure risapute e già conosciute in base a precedenti divulgazioni”.
SALUTE MENTALE – La difesa insisterà probabilmente anche sulla fragilità emotiva e psicologica del suo assistito ai tempi della diffusione dei documenti e sulla responsabilità dei superiori per non averlo rimosso dalla sua funzione nonostante le indicazioni che arrivavano da medici e colleghi. Nella lista di 48 testimoni richiesti dalla difesa resa nota a inizio dicembre figurano infatti una quindicina di persone, tra cui psichiatri e psicologi che confermerebbero come nel tempo siano emersi ripetuti indizi sull'instabilità mentale di Manning. Il governo americano, da parte sua, si è opposto alla convocazione della maggior parte dei testi proposti dalla difesa.
LA DETENZIONE – Comunque vada, l'avvio del processo significa per Manning la fine di un limbo giuridico durato molto a lungo. Arrestato nel maggio 2010, la presunta “talpa” di Assange si trova da quel momento in carcere. I primi otto mesi li ha trascorsi nella base militare di Quantico, in Virginia dove, come denunciato dai suoi legali, ma anche dalle Nazioni Unite e da Amnesty International, le condizioni di detenzione sono state particolarmente dure. Manning era costretto per 23 ore al giorno all'interno della sua cella, ogni cinque minuti doveva rispondere a domande delle guardie carcerarie che si sinceravano del suo stato di salute, non gli era consentito di dormire tra le 5 del mattino e le 8 di sera e non aveva rapporti con altri detenuti. Ad aprile il soldato è stato trasferito nella base di Fort Lavenworth in Kansas dove le condizioni di carcerazione sono sensibilmente migliorate.
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EFFETTI MODESTI – Squarci sulla linea difensiva di Manning sono stati aperti da alcuni documenti resi pubblici nelle ultime settimane dal suo avvocato, David Coombs. Secondo quello che traspare da una richiesta di messa a disposizione di prove, i legali del soldato puntano a dimostrare la sostanziale innocuità delle rivelazioni di WikiLeaks. Coombs ha domandato infatti copia di un rapporto commissionato dalla Casa Bianca sugli effetti delle informazioni trafugate che rivelerebbe “la natura tutto sommato benigna delle informazioni e l'assenza di ogni reale danno alla sicurezza nazionale”. La difesa ha chiesto anche di poter prendere visione di analoghe indagini del dipartimento di Stato e del dipartimento della Giustizia in cui, scrive sempre l'avvocato, “si conclude che tutte le informazioni che si suppone siano state rivelate erano o datate o opinioni di basso livello oppure risapute e già conosciute in base a precedenti divulgazioni”.
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