Wikileaks e i guai di quelle fonti svelate

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Julian Assange, fondatore di WikiLeaks - Credit: Getty Images
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Un giornalista in Etiopia, il direttore generale di Al Jazeera, due generali dello Zimbawe: sono alcuni degli informatori che stanno pagando le conseguenze dei cabli pubblicati integralmente da WikiLeaks. Ma il sito di Assange respinge ogni addebito

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di Gabriele De Palma

La pubblicazione da parte di Wikileaks degli ultimi cablogrammi sta creando problemi a non finire alle persone citate nei documenti. Stavolta però a uscire malconci dalle “soffiate” non sono solo i governi e le multinazionali, ma gli informatori degli ambasciatori statunitensi.
Per la prima volta infatti i cablogrammi sono stati condivisi in Rete senza alcun tipo di filtro dei nomi di chi ha veicolato i contenuti delle comunicazioni. Generalmente invece venivano pubblicati dalle redazioni dei principali quotidiani internazionali (The Guardian e New York Times) dopo essere stati organizzati in modo comprensibile per i lettori e, soprattutto, dopo che i nomi delle fonti erano cancellati.
Dopo l’ultima mossa a sorpresa di Wikileaks, alcuni governi, non molto democratici, non hanno tardato a prendere provvedimenti contro le gole profonde che hanno intrattenuto rapporti non proprio cristallini con le ambasciate Usa, svelando segreti sulla propria madrepatria.

ETIOPIA - Il primo a farne le spese è stato un giornalista etiope, Argaw Ashine, che è dovuto scappare in fretta e furia dal paese. Ashine è stato minacciato di arresto dalle autorità che volevano ottenere da lui i nomi degli esponenti del governo che lo avrebbero avvisato nel 2009 dell'imminente arresto del direttore del settimanale Addis Neger, su posizioni critiche nei confronti dell'amministrazione di Addis Abeba. Il giornalista etiope è stato interrogato tre volte nei giorni immediatamente successivi allo svelamento degli ultimi cable da parte di Wikileaks, dopodiché ha pensato bene di espatriare e avvisare dell'accaduto il Comitato di Protezione dei giornalisti (CPJ), l'istituzione internazionale a difesa del diritto di cronaca e di informazione, che ha denunciato immediatamente l'accaduto.

AL JAZEERA - Si è invece 'solo' dovuto dimettere il direttore generale di Al Jazeera, Wadah Khanfar, che con l'emittente del Qatar era nato e cresciuto professionalmente e la dirigeva da otto anni. La notizia che avesse rapporti con l'Ambasciata Usa e la Cia ha intaccato l'immagine di giornalista indipendente che aveva largamente contribuito alla fortuna di Al Jazeera

ZIMBAWE
- Ma non sono solo i giornalisti a essere in pericolo. In Zimbabwe, altro Paese in cui la libertà di espressione e di critica è poco tollerata dall'autoritario leader Mugabe, sono due generali a essere in difficoltà per la pubblicazione dei cable: Herbert Chingono e Fidelis Satuku. Avrebbero confidato all'ambasciatore Usa ad Harare che il loro comandante era “un generale politico con scarsa esperienza pratica e capacità militari”. Ora i due generali rischiano l'accusa di tradimento, e le conseguenze potrebbero essere molto serie.

CINA - Anche in Cina alcune fonti dell'ambasciata Usa sono in difficoltà. Si tratta di professori universitari, attivisti e professionisti – tra cui anche qualche esponente del Partito Comunista Cinese – che hanno espresso commenti sulla politica locale. Per ora a rendergli la vita difficile non è il governo di Pechino, ma i nazionalisti cinesi che stanno loro dando la caccia a suon di insulti e minacce attraverso alcuni siti web.

DI CHI E’ LA COLPA? - Questa nuova modalità di diffusione dei cablogrammi sta insomma mettendo in pericolo la vita – pubblica e privata – di molti, e il rischio era più che prevedibile. Anche quando i cable venivano distribuiti con le fonti censurate c'era stato infatti chi, come ad esempio Amnesty International e la stessa CPJ, aveva messo in guardia Wikileaks dai pericoli per le fonti, soprattutto in paesi poco democratici. Ora che non si fa più lo sforzo di proteggere le fonti queste rimangono completamente esposte. Wikileaks ha da sempre sostenuto che la nuova modalità senza censura dei cablogrammi non è voluta, ma la conseguenza dell'imperdonabile errore di un giornalista del Guardian, David Leigh, che ha diffuso nel libro da lui scritto sull'attività di Assange (Wikileaks – Inside Julian Assange's war on secrecy) , la password per decifrare i file di Wikileaks. Da quel momento – sostiene Assange in un'intervista del New Scientist – non ha più senso cercare di salvare le fonti, visto che chiunque può ottenere i file integrali usando la password. Il giornalista del Guardian si è difeso sostenendo che lo stesso Assange, nel confidargli la password, gli avrebbe detto che era temporanea e sarebbe stata modificata nel giro di poche ore.
Il New York Times e il settimanale tedesco Der Spiegel invece attribuiscono la colpa a uno dei collaboratori di Assange, che avrebbe per errore pubblicato la chiave per cifrare i cable. Insomma qualcuno ha sbagliato qualcosa, o forse si è trattato di un'incomprensione, un equivoco. Che però rischia di rovinare la vita delle fonti e la reputazione della missione democratica di Wikileaks.

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