Libia: falliti i negoziati, Bani Walid non si arrende

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La roccaforte dei lealisti, da giorni sotto assedio, non cede ai ribelli e si profila la possibilità di nuovi scontri. Nessuna traccia, nella cittadina, di Gheddafi o dei suoi familiari

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Dopo la tregua degli ultimi giorni potrebbe essere ormai questione di poco tempo prima che le armi tornino a farsi sentire in Libia. Sembra essere sfumata, infatti, con l'interruzione dei negoziati, la possibilità di un ingresso pacifico dei ribelli a Bani Walid, città nel deserto a sud est di Tripoli, da giorni sotto assedio.

Domenica 4 settembre fuori dalla roccaforte della tribù  Warfalla, è stata un'intensa giornata di negoziati tra i capi tribali e i responsabili militari degli insorti, che scalpitano per entrare nella città. A tutti i costi, anche a dispetto delle indicazioni del Consiglio nazionale di transizione, che aveva imposto un ultimatum più lungo, fino a sabato prossimo, perchè si arrendano le zone ancora in mano ai lealisti.
A Bani Walid le forze militari sul campo avevano invece dato tempo fino a domenica. I colloqui in serata sono falliti e la parola, ha spiegato il capo negoziatore Abdallah Kenchil, passa quindi ora ai militari. "Lascio il comandante a gestire il problema", ha detto.

Nei giorni scorsi in molti sostenevano che Gheddafi si trova nella città, mentre ora invece sembra che di lui non ci sia traccia. Secondo alcune fonti sarebbero fuggiti anche tre dei suoi figli, tra cui Saif al Islam, dopo aver visto sventolare sugli edifici alcune bandiere della rivoluzione, segnale che parte della popolazione sarebbe ormai dalla parte dei ribelli. In serata altre fonti assicurano invece che Mutassim e l'ex calciatore Saadi sono ancora lì.

In questa ridda di voci rispunta anche il nome di Khamis, il figlio del colonnello già dato per morto molte volte e sempre riapparso come un gatto dalle sette vite. Il suo corpo, secondo la Bbc, sarebbe stato sepolto proprio a Bani Walid. Mentre uno dei capi militari, Abdel Hakim Belhaj, si dice sicuro di sapere dov'è Gheddafi, pur senza dare dettagli.
Il fronte di Sirte, invece, è rimasto calmo, così  come Tripoli, dove la gente torna lentamente alle proprie occupazioni, caffè e ristoranti riaprono i battenti e molte famiglie si concedono ore di svago sulla spiaggia.

Intanto, sul fronte politico, per il Cnt arrivano alcuni segnali di un possibile dissenso interno. Uno capi militari integralisti, Ismail al-Salabi, ha chiesto da Bengasi le dimissioni del governo guidato dal premier Mahmoud Jibril. "Il ruolo del comitato esecutivo - ha detto al-Salabi, un passato da combattente in Afghanistan - non è più richiesto perché sono tutti esponenti del vecchio regime. Dovrebbero dimettersi".

Contro questo rischio di divisione si è schierato il ministro degli Esteri, Franco Frattini: "I nuovi leader della Libia avevano lasciato tempo fa Gheddafi. In alcuni casi sono stati anche arrestati", ha detto, annunciando che presto Jibril sarà di nuovo in Italia per parlare del futuro del Paese.
Ora il compito principale del Cnt, ammonisce Ian Martin, inviato speciale dell'Onu per la ricostruzione del Paese, è "avviare presto il processo elettorale", per mantenere "l'impegno preso per costruire la democrazia".

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