In Spagna il governo chiede a Google di rimuovere i dati di novanta cittadini. È solo l'ultimo caso di scontro tra paesi europei e colossi del web Usa. I motivi storici della polemica spiegati da Oreste Pollicino, professore dell'università Bocconi
di Gabriele De Palma
Negli ultimi mesi la Spagna è diventata il principale teatro dello scontro tra colossi internet e utenti, e l'oggetto del contendere è il diritto all'oblio, ovvero la garanzia che le notizie riguardanti procedimenti giudiziari e atti ufficiali dopo un ragionevole periodo di tempo non vengano più diffuse. Il diritto di essere dimenticati, alla riservatezza del proprio passato. L'ultimo caso riguarda il Boletin Oficial de Estado, analogo della nostra Gazzetta Ufficiale, che è stato digitalizzato e messo online sul sito del governo iberico. Novanta cittadini hanno chiesto al Garante per la protezione dei dati personali che i documenti venissero estromessi dall'indicizzazione del motore di ricerca di Google, strumento che rende troppo facilmente reperibili le informazioni che li riguardano. Il garante ha dato loro soddisfazione, e il Governo spagnolo si è fatto portavoce della richiesta di rimozione.
LA NUOVA DIRETTIVA UE - Il caso spagnolo è solo l'ultimo della serie di vertenze su riservatezza e diritto all'oblio in corso tra i principali fornitori di servizi web, da un lato, e i garanti della privacy degli Stati europei, dall’altro. L'Europa sta diventando un mercato estremamente difficile per le grandi internet company statunitensi, che hanno visto alcune loro attività condannate nei tribunali del Vecchio Continente per accuse che in patria nessuno ha mai mosso loro: e infatti ora protestano contro la natura censoria del diritto all'oblio.
La reazione dei singoli Paesi membri (anche in Francia c'è stata una sentenza di diffamazione contro Google) non ha tardato a trovare eco nella Commissione europea, che per volontà della commissaria Viviane Reding non è intenzionata a restare impassibile dinnanzi all'indebolimento della privacy portato dalle nuove tecnologie.
Per l’autunno è attesa una direttiva che obblighi i fornitori di servizi online a passare dalla regola dell’opt-out (i dati dell’utente, a meno di una sua esplicita richiesta, appartengono al fornitore) a quella dell’opt-in (i dati appartengono solo all’utente, a meno di esplicita richiesta). E c’è già chi teme che il provvedimenti minacci di rendere l'Europa ancora meno attraente per chi sui dati degli utenti ha costruito il proprio business.
LE DIFFERENZE TRA USA ED EUROPA - Google (e anche Facebook, altro colosso che prospera sulle informazioni date dagli iscritti al servizio) non si è mai ritrovata a suo agio nella legislazione di tutela della riservatezza, questione non solo di business ma anche di sensibilità e di cultura giuridica. Oltreoceano infatti questi problemi non li hanno mai avuti. “Nonostante abbiano riconosciuto nel 1890 il diritto di essere lasciati in pace (right to be alone), gli Stati Uniti non riconoscono alla privacy fondamento nella Costituzione, dove hanno molta importanza altri diritti come quello di libera espressione (primo emendamento)", spiega Oreste Pollicino, Professore di Diritto Comparato alla Bocconi ed esperto della giurisprudenza in era digitale.
"L'Europa invece", prosegue Pollicino, "ha una storia più recente: sia nella Convenzione europea per i diritti dell'uomo degli anni '50 che nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non solo viene riconosciuto il diritto alla privacy 'statico' (right to be alone) ma anche quello 'dinamico' del diritto al controllo dei propri dati personali. Non deve quindi stupire che la Spagna sia in prima fila nella difesa di questo diritto visto che la sua costituzione risale al 1978. Da allora in poi la privacy ha sempre trovato luogo nelle carte fondamentali dei singoli Stati. Paesi dell'est come Ungheria e Romania sono stati tra gli ultimi a redigere una costituzione e tra i primi a scontrarsi con i problemi che le nuove tecnologie comportano in termini di riservatezza”.
ITALIA, OBLIO E VERIDICITA' - In Italia ci sono stati alcuni casi esemplari del diritto all'oblio. Come quello di Mario Chiesa, primo indagato del processo Mani Pulite, che ha visto riconosciuto il proprio diritto a essere dimenticato, a non essere più chiamato con gli appellativi che gli vennero legittimamente affibbiati nel 1991. Si è verificato però anche un caso analogo ma con sentenza contraria, quello di Giulio Caradonna, onorevole del Msi, che si è vista respinta la richiesta di diffamazione a mezzo internet per la pubblicazione di un testo su un sito web che ripercorreva i trascorsi violenti del politico.
La materia non è chiara, la giurisprudenza non del tutto concorde e alle differenze culturali sui confini del diritto di privacy si aggiungono quelle tecniche e le infinite sfumature che il controllo sui propri dati conosce.
“Molto simile al diritto all'oblio è il diritto alla veridicità dei propri dati – prosegue Pollicino – quello che vuole che le informazioni reperibili online siano corrette e che le brutte notizie non prevalgano sulle buone, che le gogne mediatiche siano limitate nel tempo”. Effettuando una ricerca sulle notizie online non si ottengono risultati più vecchi di sei mesi. Questo è stato voluto dal Garante italiano per evitare che si verifichi un caso simile a quello occorso a Donatella Pasquali Zingone, nota anche come moglie di Lamberto Dini: accusata in primo grado è stata assolta in appello, ma Google News riportava in testa ai risultati della ricerca sempre la notizia della condanna e non quella dell'assoluzione.
Il limite temporale è stata una soluzione efficace però solo per la ricerca tra le notizie (dove infatti non compare alcuna notizia relativa alla signora), ma se si effettua la stessa ricerca genericamente su Google i primi risultati sono ancora quelli della condanna. La dialettica è aperta tra diritti contrastanti (privacy e informazione) ma i tempi della legge sono molto più lunghi di quelli dell'innovazione tecnologica. L'Europa però sembra intenzionata a mettersi in pari, almeno per il momento.
Negli ultimi mesi la Spagna è diventata il principale teatro dello scontro tra colossi internet e utenti, e l'oggetto del contendere è il diritto all'oblio, ovvero la garanzia che le notizie riguardanti procedimenti giudiziari e atti ufficiali dopo un ragionevole periodo di tempo non vengano più diffuse. Il diritto di essere dimenticati, alla riservatezza del proprio passato. L'ultimo caso riguarda il Boletin Oficial de Estado, analogo della nostra Gazzetta Ufficiale, che è stato digitalizzato e messo online sul sito del governo iberico. Novanta cittadini hanno chiesto al Garante per la protezione dei dati personali che i documenti venissero estromessi dall'indicizzazione del motore di ricerca di Google, strumento che rende troppo facilmente reperibili le informazioni che li riguardano. Il garante ha dato loro soddisfazione, e il Governo spagnolo si è fatto portavoce della richiesta di rimozione.
LA NUOVA DIRETTIVA UE - Il caso spagnolo è solo l'ultimo della serie di vertenze su riservatezza e diritto all'oblio in corso tra i principali fornitori di servizi web, da un lato, e i garanti della privacy degli Stati europei, dall’altro. L'Europa sta diventando un mercato estremamente difficile per le grandi internet company statunitensi, che hanno visto alcune loro attività condannate nei tribunali del Vecchio Continente per accuse che in patria nessuno ha mai mosso loro: e infatti ora protestano contro la natura censoria del diritto all'oblio.
La reazione dei singoli Paesi membri (anche in Francia c'è stata una sentenza di diffamazione contro Google) non ha tardato a trovare eco nella Commissione europea, che per volontà della commissaria Viviane Reding non è intenzionata a restare impassibile dinnanzi all'indebolimento della privacy portato dalle nuove tecnologie.
Per l’autunno è attesa una direttiva che obblighi i fornitori di servizi online a passare dalla regola dell’opt-out (i dati dell’utente, a meno di una sua esplicita richiesta, appartengono al fornitore) a quella dell’opt-in (i dati appartengono solo all’utente, a meno di esplicita richiesta). E c’è già chi teme che il provvedimenti minacci di rendere l'Europa ancora meno attraente per chi sui dati degli utenti ha costruito il proprio business.
LE DIFFERENZE TRA USA ED EUROPA - Google (e anche Facebook, altro colosso che prospera sulle informazioni date dagli iscritti al servizio) non si è mai ritrovata a suo agio nella legislazione di tutela della riservatezza, questione non solo di business ma anche di sensibilità e di cultura giuridica. Oltreoceano infatti questi problemi non li hanno mai avuti. “Nonostante abbiano riconosciuto nel 1890 il diritto di essere lasciati in pace (right to be alone), gli Stati Uniti non riconoscono alla privacy fondamento nella Costituzione, dove hanno molta importanza altri diritti come quello di libera espressione (primo emendamento)", spiega Oreste Pollicino, Professore di Diritto Comparato alla Bocconi ed esperto della giurisprudenza in era digitale.
"L'Europa invece", prosegue Pollicino, "ha una storia più recente: sia nella Convenzione europea per i diritti dell'uomo degli anni '50 che nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non solo viene riconosciuto il diritto alla privacy 'statico' (right to be alone) ma anche quello 'dinamico' del diritto al controllo dei propri dati personali. Non deve quindi stupire che la Spagna sia in prima fila nella difesa di questo diritto visto che la sua costituzione risale al 1978. Da allora in poi la privacy ha sempre trovato luogo nelle carte fondamentali dei singoli Stati. Paesi dell'est come Ungheria e Romania sono stati tra gli ultimi a redigere una costituzione e tra i primi a scontrarsi con i problemi che le nuove tecnologie comportano in termini di riservatezza”.
ITALIA, OBLIO E VERIDICITA' - In Italia ci sono stati alcuni casi esemplari del diritto all'oblio. Come quello di Mario Chiesa, primo indagato del processo Mani Pulite, che ha visto riconosciuto il proprio diritto a essere dimenticato, a non essere più chiamato con gli appellativi che gli vennero legittimamente affibbiati nel 1991. Si è verificato però anche un caso analogo ma con sentenza contraria, quello di Giulio Caradonna, onorevole del Msi, che si è vista respinta la richiesta di diffamazione a mezzo internet per la pubblicazione di un testo su un sito web che ripercorreva i trascorsi violenti del politico.
La materia non è chiara, la giurisprudenza non del tutto concorde e alle differenze culturali sui confini del diritto di privacy si aggiungono quelle tecniche e le infinite sfumature che il controllo sui propri dati conosce.
“Molto simile al diritto all'oblio è il diritto alla veridicità dei propri dati – prosegue Pollicino – quello che vuole che le informazioni reperibili online siano corrette e che le brutte notizie non prevalgano sulle buone, che le gogne mediatiche siano limitate nel tempo”. Effettuando una ricerca sulle notizie online non si ottengono risultati più vecchi di sei mesi. Questo è stato voluto dal Garante italiano per evitare che si verifichi un caso simile a quello occorso a Donatella Pasquali Zingone, nota anche come moglie di Lamberto Dini: accusata in primo grado è stata assolta in appello, ma Google News riportava in testa ai risultati della ricerca sempre la notizia della condanna e non quella dell'assoluzione.
Il limite temporale è stata una soluzione efficace però solo per la ricerca tra le notizie (dove infatti non compare alcuna notizia relativa alla signora), ma se si effettua la stessa ricerca genericamente su Google i primi risultati sono ancora quelli della condanna. La dialettica è aperta tra diritti contrastanti (privacy e informazione) ma i tempi della legge sono molto più lunghi di quelli dell'innovazione tecnologica. L'Europa però sembra intenzionata a mettersi in pari, almeno per il momento.