Israele e la Freedom Flotilla: polemica per un video sul web
MondoUn (presunto) attivista filo-palestinese ha pubblicato su Youtube un filmato in cui denuncia di essere stato bandito dalla missione perché gay. Gli account Twitter del governo israeliano hanno rilanciato il suo messaggio. Ma si tratta di un falso
di Carola Frediani
Sempre più spesso gli scontri ideologici sul web (e non solo) diventano una guerra di disinformazione. Dove però il messaggio taroccato finisce con l’essere smascherato grazie all’intelligenza collettiva degli utenti. O alla stupidità singolare di chi ha confezionato la bufala.
È il caso del video su YouTube pubblicato qualche giorno fa da un sedicente attivista gay, in cui il giovane – di nome Marc – racconta di essere stato respinto in quanto omosessuale dalla Freedom Flotilla 2, la missione filopalestinese l’anno scorso finita in tragedia, la cui partenza è prevista proprio in questi giorni tra mille polemiche. Anche quest’anno la missione vuole forzare il blocco navale israeliano per portare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza.
Il ragazzo – ripreso mentre parla in vari contesti e inquadrature, in un filmato che tutto sembra meno che amatoriale – spiega di essere stato attratto dai messaggi libertari del gruppo filopalestinese, salvo poi rendersi conto non solo dell’omofobia della Flotilla, ma anche della sua stretta vicinanza ad Hamas.
Ecco il video:
Poco dopo la sua pubblicazione, il video è stato rilanciato da alcuni profili Twitter vicini all’esecutivo israeliano, in particolare da Guy Seemann, uno stagista che lavora per il primo ministro Netanyahu (il suo account successivamente è stato cancellato), dall’ufficio stampa del governo e dal ministero degli Esteri. Il video però è un falso clamoroso, più contraffatto di un rolex venduto su una bancarella di strada.
A smascherare la panzana ci ha pensato il blog Electronic Intifada, anche se va detto – senza nulla togliere alla bravura di chi gestisce la pubblicazione – che gli elementi sospetti erano parecchi. A partire dal fatto che non ci fosse traccia online del nickname dell’autore del video; che quello fosse il primo filmato pubblicato sul suo account YouTube; che la stessa clip mostrasse una regia, con tanto di inquadrature di Marc a passeggio per strada, e non solo davanti alla webcam; che Marc si definisse “non esperto di questioni mediorientali” salvo sfoggiare un accento di quell’area; e così via.
Ma quelli della Electronic Intifada hanno fatto di più: hanno scoperto che Marc è in realtà Omer Gershon, un attore israeliano non particolarmente noto ma comunque conosciuto nel mondo del marketing e dei circuiti gay. Naturalmente, una volta scoppiata la bufala, il giovane non ha rilasciato alcuna intervista o spiegazione, mentre gli account governativi israeliani sono corsi a cancellare i tweet incriminati, accusando dell’incidente lo stagista. Successivamente il governo israeliano, rispondendo al quotidiano israeliano Haaretz, non ha negato la possibilità che in qualche modo il governo possa essere coinvolto con la produzione del video. D’altra parte, funzionari governativi israeliani hanno dichiarato al New York Times l’estraneità dell’ufficio del primo ministro.
Il mistero sulla genesi del video dunque resta. E intanto gli autori di Elecronic Intifada si pongono degli interrogativi: anche se il video-falso era goffo, chi l’ha commissionato? Quali le eventuali responsabilità del governo israeliano? Certo, l’idea che apparati statali confezionino un prodotto di disinformazione così approssimativo solleva perplessità. A meno di non inquadrare l’episodio all’interno di una sorta di “macchina del fango”, per dirla alla Saviano: si seminano falsità e calunnie e poco importa se saranno poi sbugiardate: l’importante è seminare il dubbio.
Sempre più spesso gli scontri ideologici sul web (e non solo) diventano una guerra di disinformazione. Dove però il messaggio taroccato finisce con l’essere smascherato grazie all’intelligenza collettiva degli utenti. O alla stupidità singolare di chi ha confezionato la bufala.
È il caso del video su YouTube pubblicato qualche giorno fa da un sedicente attivista gay, in cui il giovane – di nome Marc – racconta di essere stato respinto in quanto omosessuale dalla Freedom Flotilla 2, la missione filopalestinese l’anno scorso finita in tragedia, la cui partenza è prevista proprio in questi giorni tra mille polemiche. Anche quest’anno la missione vuole forzare il blocco navale israeliano per portare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza.
Il ragazzo – ripreso mentre parla in vari contesti e inquadrature, in un filmato che tutto sembra meno che amatoriale – spiega di essere stato attratto dai messaggi libertari del gruppo filopalestinese, salvo poi rendersi conto non solo dell’omofobia della Flotilla, ma anche della sua stretta vicinanza ad Hamas.
Ecco il video:
Poco dopo la sua pubblicazione, il video è stato rilanciato da alcuni profili Twitter vicini all’esecutivo israeliano, in particolare da Guy Seemann, uno stagista che lavora per il primo ministro Netanyahu (il suo account successivamente è stato cancellato), dall’ufficio stampa del governo e dal ministero degli Esteri. Il video però è un falso clamoroso, più contraffatto di un rolex venduto su una bancarella di strada.
A smascherare la panzana ci ha pensato il blog Electronic Intifada, anche se va detto – senza nulla togliere alla bravura di chi gestisce la pubblicazione – che gli elementi sospetti erano parecchi. A partire dal fatto che non ci fosse traccia online del nickname dell’autore del video; che quello fosse il primo filmato pubblicato sul suo account YouTube; che la stessa clip mostrasse una regia, con tanto di inquadrature di Marc a passeggio per strada, e non solo davanti alla webcam; che Marc si definisse “non esperto di questioni mediorientali” salvo sfoggiare un accento di quell’area; e così via.
Ma quelli della Electronic Intifada hanno fatto di più: hanno scoperto che Marc è in realtà Omer Gershon, un attore israeliano non particolarmente noto ma comunque conosciuto nel mondo del marketing e dei circuiti gay. Naturalmente, una volta scoppiata la bufala, il giovane non ha rilasciato alcuna intervista o spiegazione, mentre gli account governativi israeliani sono corsi a cancellare i tweet incriminati, accusando dell’incidente lo stagista. Successivamente il governo israeliano, rispondendo al quotidiano israeliano Haaretz, non ha negato la possibilità che in qualche modo il governo possa essere coinvolto con la produzione del video. D’altra parte, funzionari governativi israeliani hanno dichiarato al New York Times l’estraneità dell’ufficio del primo ministro.
Il mistero sulla genesi del video dunque resta. E intanto gli autori di Elecronic Intifada si pongono degli interrogativi: anche se il video-falso era goffo, chi l’ha commissionato? Quali le eventuali responsabilità del governo israeliano? Certo, l’idea che apparati statali confezionino un prodotto di disinformazione così approssimativo solleva perplessità. A meno di non inquadrare l’episodio all’interno di una sorta di “macchina del fango”, per dirla alla Saviano: si seminano falsità e calunnie e poco importa se saranno poi sbugiardate: l’importante è seminare il dubbio.