Dubbi sull'identità e sulla reale esistenza della giovane omosessuale che sarebbe stata sequestrata dalle autorità siriane. I reporter che seguono il caso invitano a “continuare le mobilitazioni in suo favore, fino a che non sarà stata fatta chiarezza"
Di Raffaele Mastrolonardo
Secondo alcuni era la possibile eroina della rivoluzione siriana. Del suo arresto avevano scritto i media più importanti del mondo, online circolava persino una sua fotografia e la rete si era già mobilitata in suo aiuto. Eppure, a un giorno di distanza dall'annuncio del sequestro di Amina Abdallah Arraf, blogger siriano-americana omosessuale, i contorni della vicenda così come l'identità della protagonista (e forse la sua stessa esistenza) si tingono di giallo.
Il quotidiano americano Wall Street Journal ha infatti rivelato che la foto della ragazza circolata in rete il 7 giugno ritrarrebbe un'altra donna, Jelena Lecic, che risiede a Londra (un caso analogo si era verifcato in occasione dell'uccisione di un'attivista iraniana).
Perplessità circa l'effettiva identità della ragazza sono state sollevate anche da Andy Carvin, giornalista dell'emittente americana NPR, e da The Lede, blog del quotidiano Usa New York Times che pure alla vicenda aveva dedicato un ampio resoconto.
Andy Carvin, specialista nella copertura di eventi attraverso i social media e conosciuto anche con la fama di “smontatore” di bufale virtuali, ha fatto notare per primo come nessuna delle fonti citate dai media che si sono occupati della vicenda della blogger siriana abbia in realtà mai incontrato Amina di persona.
Sandra Bagaria, ad esempio, amica della giovane che sarebbe stata arrestata a Damasco lunedì 6 giugno, è stata intervistata da Al Jazeera ma con lei ha avuto solo scambi online e sempre e solo testuali: non si sono mai parlate, ha scoperto The Lede - utilizzando una videochiamata Skype. Anche la CNN, che in passato aveva intervistato la blogger, ha condotto il colloquio solo via email, così come la testata inglese The Guardian.
Nelle sue richieste via Twitter, il giornalista di NPR non è riuscito a rintracciare nessuno che possa confermare di avere incontrato di persona la blogger che, a quanto si legge sul suo diario online, sarebbe figlia di un americano e di una siriana, avrebbe doppia cittadinanza e sarebbe tornata in Siria nell'estate 2010 da dove racconta la vita di una giovane gay in un Paese dove l'omosessualità è reato. Ad aggiungere ulteriore mistero alla vicenda, infine, la scoperta che alcuni dei contenuti del blog A Gay Girl in Damascus sarebbero in realtà stati pubblicati nel 2007 in un altro diario online, attribuito alla stessa autrice, dove si afferma però che i materiali presenti mischiano realtà e fantasia.
Intanto l'ambasciata americana in Siria sta cercando di verificare i dettagli su Amina – che, come detto, sarebbe cittadina americana - ma, fino ad ora, non è riuscita a confermare nessuna delle informazioni contenute sul blog.
Questo significa che Amina Abdallah Arraf non esiste, che si tratta di uno scherzo di terribile gusto e dunque non c'è stato nessun arresto? O vuol dire forse che l'autore di quelle pagine ha cercato, invano, di mischiare le carte sulla sua identità per evitare brutte conseguenze? Lo stesso Carvin, al momento, dichiara l'impossibilità di arrivare ad una conclusione, certa. E dunque, sulla base di un principio di prudenza, invita a continuare a procedere sulla base dell'assunto che un'altra blogger siriana è stata arrestata e si trova quindi in carcere.
Intanto, però, continua la sua opera di verifica. Tanto più necessaria perché se il caso di Amina si rivelasse in futuro una "bufala" potrebbe rappresentare un precedente molto dannoso per la causa dei cyber-dissidenti di tutto il mondo. Indipendentemente dalla conclusione a cui si giunger, la vicenda dimostra già una cosa: quanto sia difficile – soprattutto nel caso di Paesi autoritari dove i reporter stranieri hanno libertà di azione limitata – valutare adeguatamente la fondatezza di quanto viene pubblicato sui nuovi media, tenere insieme la ricerca della velocità delle notizie imposta dalla diffusione di massa dei social network e la necessità di verifica richiesta dal buon giornalismo. Come dimostrano alcuni studi recenti, le grandi testate mondiali stanno lavorando alla ricerca di un equilibrio tra l'immediatezza della news e l'accuratezza dell'informazione. Ma, appunto, si tratta ancora di una ricerca.
Secondo alcuni era la possibile eroina della rivoluzione siriana. Del suo arresto avevano scritto i media più importanti del mondo, online circolava persino una sua fotografia e la rete si era già mobilitata in suo aiuto. Eppure, a un giorno di distanza dall'annuncio del sequestro di Amina Abdallah Arraf, blogger siriano-americana omosessuale, i contorni della vicenda così come l'identità della protagonista (e forse la sua stessa esistenza) si tingono di giallo.
Il quotidiano americano Wall Street Journal ha infatti rivelato che la foto della ragazza circolata in rete il 7 giugno ritrarrebbe un'altra donna, Jelena Lecic, che risiede a Londra (un caso analogo si era verifcato in occasione dell'uccisione di un'attivista iraniana).
Perplessità circa l'effettiva identità della ragazza sono state sollevate anche da Andy Carvin, giornalista dell'emittente americana NPR, e da The Lede, blog del quotidiano Usa New York Times che pure alla vicenda aveva dedicato un ampio resoconto.
Andy Carvin, specialista nella copertura di eventi attraverso i social media e conosciuto anche con la fama di “smontatore” di bufale virtuali, ha fatto notare per primo come nessuna delle fonti citate dai media che si sono occupati della vicenda della blogger siriana abbia in realtà mai incontrato Amina di persona.
Sandra Bagaria, ad esempio, amica della giovane che sarebbe stata arrestata a Damasco lunedì 6 giugno, è stata intervistata da Al Jazeera ma con lei ha avuto solo scambi online e sempre e solo testuali: non si sono mai parlate, ha scoperto The Lede - utilizzando una videochiamata Skype. Anche la CNN, che in passato aveva intervistato la blogger, ha condotto il colloquio solo via email, così come la testata inglese The Guardian.
Nelle sue richieste via Twitter, il giornalista di NPR non è riuscito a rintracciare nessuno che possa confermare di avere incontrato di persona la blogger che, a quanto si legge sul suo diario online, sarebbe figlia di un americano e di una siriana, avrebbe doppia cittadinanza e sarebbe tornata in Siria nell'estate 2010 da dove racconta la vita di una giovane gay in un Paese dove l'omosessualità è reato. Ad aggiungere ulteriore mistero alla vicenda, infine, la scoperta che alcuni dei contenuti del blog A Gay Girl in Damascus sarebbero in realtà stati pubblicati nel 2007 in un altro diario online, attribuito alla stessa autrice, dove si afferma però che i materiali presenti mischiano realtà e fantasia.
Intanto l'ambasciata americana in Siria sta cercando di verificare i dettagli su Amina – che, come detto, sarebbe cittadina americana - ma, fino ad ora, non è riuscita a confermare nessuna delle informazioni contenute sul blog.
Questo significa che Amina Abdallah Arraf non esiste, che si tratta di uno scherzo di terribile gusto e dunque non c'è stato nessun arresto? O vuol dire forse che l'autore di quelle pagine ha cercato, invano, di mischiare le carte sulla sua identità per evitare brutte conseguenze? Lo stesso Carvin, al momento, dichiara l'impossibilità di arrivare ad una conclusione, certa. E dunque, sulla base di un principio di prudenza, invita a continuare a procedere sulla base dell'assunto che un'altra blogger siriana è stata arrestata e si trova quindi in carcere.
Intanto, però, continua la sua opera di verifica. Tanto più necessaria perché se il caso di Amina si rivelasse in futuro una "bufala" potrebbe rappresentare un precedente molto dannoso per la causa dei cyber-dissidenti di tutto il mondo. Indipendentemente dalla conclusione a cui si giunger, la vicenda dimostra già una cosa: quanto sia difficile – soprattutto nel caso di Paesi autoritari dove i reporter stranieri hanno libertà di azione limitata – valutare adeguatamente la fondatezza di quanto viene pubblicato sui nuovi media, tenere insieme la ricerca della velocità delle notizie imposta dalla diffusione di massa dei social network e la necessità di verifica richiesta dal buon giornalismo. Come dimostrano alcuni studi recenti, le grandi testate mondiali stanno lavorando alla ricerca di un equilibrio tra l'immediatezza della news e l'accuratezza dell'informazione. Ma, appunto, si tratta ancora di una ricerca.