Manal, la ragazza saudita che guida la protesta su YouTube

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Una delle pagine Facebook dedicate a Manal Al Sharif, la giovane mamma saudita che ha sfidato la legge del suo Paese che vieta alle donne di mettersi al volante
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In Arabia Saudita le donne non possono mettersi al volante. Lei ha trasgredito la legge, pubblicato sul web il video e lanciato su Facebook una mobilitazione per il 17 giugno. Arrestata, è tornata libera dopo aver ritrattato. Ma la rete non si ferma

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di Valeria Valeriano

Per uscire dal carcere ha dovuto pagare una cauzione, chiedere scusa ufficialmente e promettere che non commetterà più “altri errori”. La sua colpa? Essere donna, aver guidato una macchina e aver spinto altre donne a farlo. Lei si chiama Manal Al Sharif, è divorziata, ha 32 anni, un figlio di 5 e vive a Khobar, nell’est dell’Arabia Saudita. Nel suo Paese le donne non possono votare, svolgere un lavoro indipendente, scegliersi il marito, guidare un’auto. Per spostarsi devono pagare un autista o, se non hanno i soldi, sperare nel buon cuore dei familiari maschi. Manal, esperta informatica della Saudi Aramco, i soldi da dare a un autista non ce li ha. All’interno del grande stabilimento della compagnia petrolifera per cui lavora può guidare. Fuori, però, il volante per lei è proibito. Ma Manal sfida spesso il divieto, soprattutto per accompagnare il figlio a scuola. “Lo faccio perché sono frustrata, arrabbiata e matta – scrive su Facebook –. Siamo nel 2011 e stiamo ancora discutendo su questo insignificante diritto”.

E proprio su internet Manal lancia la sua sfida: una giornata di “disobbedienza di massa al volante”, il 17 giugno, per spingere la famiglia reale ad abrogare il divieto. “È una campagna volontaria per aiutare le ragazze di questo Paese a imparare a guidare, almeno per le situazioni di emergenza”, spiega. Su Facebook e Twitter parte il tam tam. “Io guiderò” è la parola d’ordine. Le donne che promettono di aderire alla “Women2drivecampaign” sono migliaia. Per convincerle a mettersi in macchina e sfilare, Manal si fa riprendere al volante della sua auto e pubblica il video su YouTube. “Nessuna legge islamica proibisce alle donne di guidare”, dice dando la colpa del divieto al regime ultraconservatore.



Il filmato e tutta la campagna non passano inosservati. Le pagine Facebook, Twitter e YouTube di Manal vengono cancellate o alterate. Sabato 21 maggio la polizia religiosa, l’unità speciale incaricata di far osservare i precetti dell’Islam secondo la rigida interpretazione delle autorità saudite, arresta la giovane mamma. La libera qualche ora dopo, per poi riportarla in prigione all’alba di domenica e tenerla rinchiusa per dieci giorni. La donna, dal carcere, non può continuare la sua campagna. L’eco di questa storia, però, arriva lontano, oltrepassando anche i confini nazionali. Su Facebook e Twitter le pagine in supporto della protesta di Manal si moltiplicano e vengono postati oltre 25mila messaggi di solidarietà. Nascono anche dei blog. Qualcuno la ribattezza la “Rosa Parks saudita”, in ricordo della donna afro-americana che nel 1955 si rifiutò di cedere il suo posto sull’autobus a un bianco e diede vita alla battaglia per l’uguaglianza razziale negli Stati Uniti. Un gruppo di intellettuali lancia anche una petizione per chiedere la scarcerazione: la firmano più di 3mila sauditi.

“Il nostro dovere è quello di far rispettare la legge, impediremo in ogni modo alle donne di guidare l’auto – dice il vice ministro degli Interni saudita, il principe Ahmad Bin Abdelaziz –. Nel 1991 le autorità hanno deciso di vietare loro l’uso delle macchine, ora noi siamo chiamati ad applicare quella legge”. La pensano come lui migliaia di uomini che, sempre su Facebook, si stanno “attrezzando” per andare a “frustare” le donne che il 17 giugno oseranno sfidare il divieto. L’hanno chiamata la “campagna dell’Iqal”, dal nome della corda usata dai sauditi per cingere il proprio copricapo che è anche l’arma proposta per punire le automobiliste ribelli.

Dopo aver versato una cauzione, Manal Al Sharif esce dal carcere il 31 maggio. Il prezzo che paga per la libertà è molto alto. Secondo i giornali locali, infatti, la ragazza ritratta e chiede ufficialmente scusa per aver infranto la legge in una lettera indirizzata a re Abdullah. Di più: promette che non parteciperà alla manifestazione del 17 giugno, quella che lei stessa ha indetto. Ma le donne che ormai hanno sposato la sua battaglia non mollano. Sono convinte che quelle scuse siano state estorte e scenderanno in strada, al volante di una macchina, per manifestare anche a nome di Manal. Altre donne, in diverse parti del mondo, stanno pensando a iniziative a sostegno delle “sorelle saudite”. “Una cosa che mi piace della protesta del 17 giugno – scrive su Twitter una ragazza – è che se il governo deciderà la strada della repressione, apparirà a tutto il mondo eccessivamente irragionevole e duro. Se invece permetterà alle signore di guidare, cadrà la barriera della paura di fronte a questo e ad altri divieti".

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