Facebook, la sindrome cinese e lo spettro della censura

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Facebook e Cina, il rapporto si fa sempre più difficile.
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Il social network di Mark Zuckerberg sta provando a sbarcare nel paese con un ambizioso piano di espansione, ma i problemi sono tanti. E le rivolte in Nord Africa rischiano di complicare ulteriormente le cose

di Carola Frediani

“Come si fa a connettere il mondo intero se si lasciano fuori 1,6 miliardi di persone?”. In questo dilemma, espresso qualche tempo fa da Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, è condensato tutto il rovello etico, manageriale e di immagine che sta affrontando il social network più popolare del pianeta. La risposta è che non si possono tagliare fuori, quei miliardi di persone, e tanto meno i miliardi di dollari che generano. E che un modo, ma soprattutto un compromesso, bisogna trovarlo. Almeno questo è il quadro che emerge dalle ultime indiscrezioni di vari siti tecnologici, secondo i quali l'azienda con sede a Palo Alto sarebbe in trattative avanzate con Baidu, il più usato motore di ricerca cinese, per portare il proprio social network a Pechino. Voci rafforzate dal viaggio compiuto dallo stesso Zuckerberg in Cina lo scorso dicembre, e dalla successiva visita da parte dei dirigenti di Baidu nel quartier generale di Facebook in California.

Con molta cautela e discrezione dunque i manager del social network starebbero mettendo a punto i dettagli dello sbarco nel Paese del Dragone, ma un particolare di non poco conto viene già dato per certo: non si tratterà di una rete indipendente e chiusa bensì di un servizio connesso alla restante comunità internazionale di Facebook. Una decisione che, se verrà confermata, avrebbe un potenziale esplosivo, per gli utenti, per la Cina e anche per Zuckerberg e soci. In pratica quando un utente americano o italiano si connetterà con un altro che però sta nella Repubblica Popolare troverà un avviso in cui verrà spiegato che qualsiasi contenuto visibile a iscritti cinesi può essere visto anche dal governo di Pechino. Non solo: è probabile che i contenuti dell'area cinese saranno in qualche modo censurati.

A fare il “lavoro sporco”, a gestire cioè il filtraggio e le trattative con le autorità, saranno quelli di Baidu. E tuttavia l'incastro tra il Facebook internazionale e quello (presumibilmente) filtrato cinese sembra un rebus impossibile. Come funzionerà la censura? si chiedono gli esperti. Ci saranno dei filtri che agiranno ex ante, in base a parole e contenuti proibiti, o singole pagine e post verranno rimossi su segnalazione delle autorità cinesi? E cosa accadrà quando un utente internazionale pubblicherà qualcosa che non piace al governo di Pechino sulla bacheca di un amico cinese, o gli manderà un messaggio personale? E Facebook passerà alle autorità cinesi informazioni private sui suoi utenti, come successe anni fa con Yahoo!, che rivelò alle autorità cinesi l'identità di Shi Tao, un giornalista dissidente nonché utente della sua webmail, il quale fu poi condannato a dieci anni di prigione?

Insomma, la questione è complessa. Anche per la ricaduta d'immagine (negativa) che potrebbe avere su un social network fino ad oggi molto popolare e a cui gli utenti tendono a perdonare qualsiasi peccatuccio. Tant'è vero che la sola indiscrezione di un possibile sbarco cinese di Facebook ha già allarmato alcuni politici americani come il senatore Dick Durbin, preoccupato per le conseguenze sulla libertà di parola e la privacy.

Ma è anche difficile pensare che la Cina – dove non mancano piattaforme sociali come Ren Ren e Kaixinwang - possa lasciare troppa libertà d'azione a un social network che proprio negli ultimi mesi, con le rivoluzioni che hanno scosso il Nord Africa, è stato usato dagli utenti in chiave libertaria e anti-regime. Sulla Cina, avvisano alcuni osservatori, si sono già scornati Yahoo! e Google, che infatti ha temporaneamente lasciato perdere. Ora tocca a Facebook. Col rischio di assistere a un film già visto.

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