Il regime mediorientale toglie il blocco, in corso da 4 anni, ad alcuni popolari siti di condivisione delle informazioni. Ma sui dissidenti continua il giro di vite
di Carola Frediani
Internet continua ad essere lo spauracchio del Medio Oriente. Al punto che la stessa Siria nel giro di pochi giorni sembra cadere in contraddizione, concedendo cautamente più libertà in Rete da un lato e condannando pesantemente una blogger dall'altro.
Tutto è iniziato qualche giorno fa, quando gli utenti internet siriani si sono accorti di riuscire ad accedere a Facebook e YouTube senza dover ricorrere ad espedienti come server proxy: è la prima volta che accade dal 2007, quando il regime di Bashar al Assad ha messo al bando i social network, stringendo ancora di più la censura online che oscura i siti sui diritti umani, i militanti curdi, l'organizzazione dei Fratelli Musulmani e altri gruppi dissidenti.
Non c'è stato un vero e proprio annuncio ufficiale, ma l'imprenditore tecnologico Abdulsalam Haykal ha riferito ai media che l'ordine di togliere il bando è arrivato agli Isp, i fornitori di connettività. Per il quotidiano Al-Watan, vicino al regime, la decisione dimostrerebbe “la fiducia del governo in se stesso così come il fatto che lo Stato non teme minacce provenienti da questi o da altri siti”. Si tratta in ogni caso di un'apertura solo parziale, dal momento che siti come Wikipedia (nella versione araba) e altri media stranieri restano ancora irraggiungibili.
È vero che la Siria fino ad ora sembra aver resistito tetragona all'onda d'urto che ha investito il Nord Africa e il Medio Oriente. E che una manifestazione indetta proprio su Facebook per lo scorso lunedì da utenti che evidentemente hanno usato vari strumenti per superare il blocco, se online ha raccolto 20 mila adesioni, sulle strade non si è materializzata.
D'altra parte è possibile che l'esempio del vicino Egitto, con il blackout di 5 giorni delle comunicazioni internet, che oltre ad essere stato aggirato non ha comunque evitato la caduta di Mubarak, spinga il regime di Assad a impugnare più la carota che il bastone. Proprio in un'intervista rilasciata alcuni giorni fa al Wall Street Journal il presidente sirian pur distinguendo la situazione del proprio Paese da quella di Tunisia ed Egitto, ha detto di voler realizzare alcune riforme.
Inoltre il via libera ai social network è arrivato poco prima dell'atteso discorso del segretario di Stato americano Hillary Clinton sulla libertà in Internet. E non a caso, Alec Ross, consigliere della Clinton, è stato trai i primi a “salutare” con un tweet la notizia della fine del blocco siriano. Ma se, come pensano alcuni osservatori, il nuovo corso della Siria è soprattutto una mossa tattica e insieme diplomatica, la notizia della condanna di una blogger a cinque anni di carcere sembra vanificare in un sol colpo l'intera strategia.
La diciannovenne Tal al Malluhi, rinchiusa da più di un anno in una prigione siriana con l'accusa di essere una spia di un Paese straniero, è stata infatti condannata oggi a cinque anni di reclusione dalla Corte suprema per la sicurezza dello Stato. Nel suo blog la giovane, nipote di un ex-ministro, aveva criticato la mancanza di libertà di espressione in Siria. Anche se le circostanze della sua incriminazione restano ancora oscure.
Internet continua ad essere lo spauracchio del Medio Oriente. Al punto che la stessa Siria nel giro di pochi giorni sembra cadere in contraddizione, concedendo cautamente più libertà in Rete da un lato e condannando pesantemente una blogger dall'altro.
Tutto è iniziato qualche giorno fa, quando gli utenti internet siriani si sono accorti di riuscire ad accedere a Facebook e YouTube senza dover ricorrere ad espedienti come server proxy: è la prima volta che accade dal 2007, quando il regime di Bashar al Assad ha messo al bando i social network, stringendo ancora di più la censura online che oscura i siti sui diritti umani, i militanti curdi, l'organizzazione dei Fratelli Musulmani e altri gruppi dissidenti.
Non c'è stato un vero e proprio annuncio ufficiale, ma l'imprenditore tecnologico Abdulsalam Haykal ha riferito ai media che l'ordine di togliere il bando è arrivato agli Isp, i fornitori di connettività. Per il quotidiano Al-Watan, vicino al regime, la decisione dimostrerebbe “la fiducia del governo in se stesso così come il fatto che lo Stato non teme minacce provenienti da questi o da altri siti”. Si tratta in ogni caso di un'apertura solo parziale, dal momento che siti come Wikipedia (nella versione araba) e altri media stranieri restano ancora irraggiungibili.
È vero che la Siria fino ad ora sembra aver resistito tetragona all'onda d'urto che ha investito il Nord Africa e il Medio Oriente. E che una manifestazione indetta proprio su Facebook per lo scorso lunedì da utenti che evidentemente hanno usato vari strumenti per superare il blocco, se online ha raccolto 20 mila adesioni, sulle strade non si è materializzata.
D'altra parte è possibile che l'esempio del vicino Egitto, con il blackout di 5 giorni delle comunicazioni internet, che oltre ad essere stato aggirato non ha comunque evitato la caduta di Mubarak, spinga il regime di Assad a impugnare più la carota che il bastone. Proprio in un'intervista rilasciata alcuni giorni fa al Wall Street Journal il presidente sirian pur distinguendo la situazione del proprio Paese da quella di Tunisia ed Egitto, ha detto di voler realizzare alcune riforme.
Inoltre il via libera ai social network è arrivato poco prima dell'atteso discorso del segretario di Stato americano Hillary Clinton sulla libertà in Internet. E non a caso, Alec Ross, consigliere della Clinton, è stato trai i primi a “salutare” con un tweet la notizia della fine del blocco siriano. Ma se, come pensano alcuni osservatori, il nuovo corso della Siria è soprattutto una mossa tattica e insieme diplomatica, la notizia della condanna di una blogger a cinque anni di carcere sembra vanificare in un sol colpo l'intera strategia.
La diciannovenne Tal al Malluhi, rinchiusa da più di un anno in una prigione siriana con l'accusa di essere una spia di un Paese straniero, è stata infatti condannata oggi a cinque anni di reclusione dalla Corte suprema per la sicurezza dello Stato. Nel suo blog la giovane, nipote di un ex-ministro, aveva criticato la mancanza di libertà di espressione in Siria. Anche se le circostanze della sua incriminazione restano ancora oscure.