In Rete la primavera del Cairo, tra orgoglio e battute

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Commenti, tweet, blog: il racconto della rivoluzione egiziana va in onda sul web. "Noi restiamo a casa e gli uomini fanno da guardia alle porta", scrive una giovane de Il Cairo. “Per favore, abbiamo bisogno della libertà nel nostro Paese”, chiede Dalia

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di Raffaele Mastrolonardo


“Spero che le cose tornino alla normalità prima che il Paese venga completamente distrutto. Non hai idea di cosa stia succedendo qui! Attorno a me tutto va a fuoco! I negozi sono presi d’assalto, i palazzi del governo e persino le case vengono incendiate”. H, si firma semplicemente così, è una ragazza egiziana che vive al Cairo e che in questi giorni si trova “nel bel mezzo di tutto” come scrive a un amico che ha pubblicato la sua lettera sul sito dell'organizzazione non profit Shoot 4 Change. “La situazione – continua H – non è come viene descritta dalle emittenti non egiziane. Ora per le strade ci sono anche diversi stranieri: iraniani, palestinesi, svizzeri, irlandesi”. In piazza, denuncia ancora la giovane, vagano anche terroristi “che approfittano della situazione e alimentano la violenza con lanci di bombe molotov contro la gente che attraversa la città, contro l’esercito e la polizia”. Un altro problema è rappresentato dal fatto che in Egitto “sono fuggiti dalle carceri circa 30-40mila prigionieri, che hanno rubato pistole, vestiti e auto. Entrano nelle case per uccidere e violentare. Girano e sparano senza motivo. Noi, infatti, non abbiamo altra scelta che restare chiuse in casa mentre gli uomini fanno i turni di guardia”. A questo si aggiunge il problema del cibo. “I negozi sono stati saccheggiati – spiega H – o più semplicemente restano chiusi perché i proprietari preferiscono vigilare sulla propria casa. Insomma, se manca qualcosa è difficile trovarla… e i prezzi sono raddoppiati”.

Sul web va in onda il racconto reale - “Ore 5:40 la televisione di stato egiziana, nell'ultima ora, ha mandato in onda i seguenti servizi: 1) un'intervista con il nuovo primo ministro per parlare della formazione e delle priorità del nuovo governo; 2) una visita di Mahmoud Wagdy, il nuovo ministro dell'Interno, presso il quartiere Nuovo Cairo dove ha promosso l'iniziativa 'Polizia al servizio della gente'”. Questo il commento postato sul sito dell'edizione inglese di Al Jazeera l'1 febbraio scorso, giorno della marcia che ha visto scendere in piazza nella capitale 2 milioni di persone.
Tra l'ironico e lo sconsolato restituisce in poche righe e meglio di tante analisi la centralità dei nuovi media e delle tv satellitari nella narrazione degli eventi che stanno trasformando il Paese. Mentre la televisione di regime parla d'altro, sul Web e sul satellite va in scena il racconto reale, esaltante e drammatico allo stesso tempo, della rivoluzione in corso. Un resoconto ricco di fatti ma anche di emozioni collettive e private in cui si mescolano euforia, preoccupazione, rabbia, paura e persino sense of humor.
Twitter, Facebook e le sezioni dei commenti di alcuni media diventano così il luogo in cui depositare i propri stati d'animo e i messaggi al mondo (complici anche alcuni tempestivi servizi di traduzione dal basso che aiutano a superare le barriere linguistiche). 

Media contro media. La sfiducia nei canali di informazione ufficiale messa in luce dal commento ad Al Jazeera trova così ampio posto nei cinguettii che, grazie a “Speek-to-Tweet”, iniziativa congiunta di Google e Twitter, hanno superato l'oscuramento della rete da parte di Mubarak. “I media egiziani mentono. La Tv di stato egiziana, tristemente, diffonde voci e vuole spaventare le persone perché non escano di casa e protestino”, afferma un utente egiziano il cui messaggio è comprensibile al mondo grazie al servizio Alive in Egypt nato per l'occasione.

Fine di autocrate. Il risentimento, naturalmente, si estende dai mezzi di comunicazione a colui che li controlla, vale a dire il presidente Hosni Mubarak che, come c'era da aspettarsi, non raccoglie grandi simpatie in rete.“Se ne deve andare – afferma Ameen Al-Jadh'ee sul sito dell'emittente araba - con il suo ultimo discorso, si sta ripetendo lo scenario tunisino”. Ma anche altrove il rais egiziano non se la passa meglio. “E' un criminale, se ne deve andare”, dice un cittadino su Twitter. Altri sono più delicati, quasi lirici, nella forma ma il senso delle loro richieste non cambia: “Ti prego Mubarak, vattene, vattene, vattene. Il popolo non ti vuole. E' semplice. La tua vita è alla fine. La tua famiglia è alla fine. Vattene. E' meglio. Lascia che la gente viva in pace”.
In qualcuno il desiderio di liberarsi dell'oppressore si mischia però con la paura dell'anarchia che potrebbe seguire una transizione troppo rapida: “In questo momento sono sotto casa con un coltello e una mazza da baseball sulla spalla”, dice un utente che si qualifica come cristiano. “Aspetto chiunque possa venire. Pensiamoci bene, usiamo Mubarak anche se non lo vogliamo (e io certo non lo voglio). Ma questo vecchio è stato al potere per 30 anni e ha fatto delle cose buone, per cui lo userei e lo lascerei stare lì fino alle prossime elezioni”.
Altri, invece, forse preconizzando gli scontri degli ultimi giorni, fanno un appello all'unità.  “Popolo, l'Egitto ha bisogno che tutti gli egiziani lavorino insieme, mano nella mano, per renderlo libero. Non vogliamo che gli egiziani si uccidano tra di loro. Non vogliamo che si massacrino tra loro”.

Orgoglio giovane. Tra risentimento e paura c'è spazio per l'orgoglio per ciò che il popolo egiziano sta mettendo in atto: “Siamo la gioventù egiziana del 25 gennaio, abbiamo scelto di non negoziare con le autorità, per favore diffondetelo tra le vostre famiglie in Egitto, re-twittatelo. Grazie”, afferma trionfante un utente. “Voglio dire a tutti i miei amici fuori dall'Egitto di non avere paura. Siamo felici: la gioventù d'Egitto ci sta liberando”, afferma Redda.

Humor. Nel bel mezzo di una rivoluzione però c'è anche chi trova il tempo per qualche battuta. Una delle più gettonate, a giudicare dalla quantità di segnalazioni ricevute su Twitter è quella attribuita al regista Abdulla Al Kaabi: "Mubarak dovrebbe ripristinare Internet in modo da poter prenotare un viaggio su Expedia”. Altrettanto successo ha riscosso una gustosa (e amara) “Guida” che spiega come “non dire cose stupide sull'Egitto” realizzata da una blogger americana. Tra i suggerimenti c'è quello di non parlare di “rivoluzione Twitter” (come se Twitter non fosse solo uno strumento), di non applaudire il “coraggio delle donne” (come se non fossero sempre state coraggiose), o di non salutare “la maturazione di Al Jazeera” (come se l'emittente del Qatar non avesse già dimostrato più volte le sue capacità giornalistiche). Il post, oltre ad essere stato segnalato dalla stessa Al Jazeera nel suo live blogging dedicato all'Egitto, raccoglie l'apprezzamento degli utenti egiziani: “Stella, non posso ringraziarti abbastanza per il tuo articolo. Non ti ringrazio perché sono egiziana. Si può applicare a tutte le persone del mondo, compresi gli americani”, dice un commento.

Geopolitica. Nelle reazioni agli eventi sul web emerge infine la consapevolezza del ruolo che la politica internazionale può giocare sul risultato di questa protesta. “Non siamo l'Iran”. Ripete un utente. “Vogliamo una transizione secolare, democratica e pacifica. Perché questo sia possibile bisogna che Mubarak se ne vada. Per favore, che il mondo ci aiuti”. E tra quelli che possono aiutare nei pensieri degli egiziani c'è soprattutto l'America. “Voglio chiedere al mondo di fare pressione sugli Stati Uniti per fermare il supporto del governo americano al regime di Mubarak. Per favore, abbiamo bisogno della libertà nel nostro Paese”, dice Dalia. Più in generale sembra esserci una progressiva disillusione nei confronti del presidente Obama che proprio al Cairo aveva pronunciato uno storico discorso rivolto al mondo musulmano.
“C'è un crescente risentimento verso gli Stati Uniti tra i dimostranti. Molti pensano che gli Stati Uniti stiano supportando appieno Mubarak dietro le quinte”, si leggeva il primo febbraio sulla pagina Facebook del gruppo We are all Kalhed Said, tra i promotori della protesta online. Un'idea che riecheggia anche sui forum di Al Jazeera: “Quello che gli Stati Uniti stanno dimostrando al mondo è che la dittatura è una cosa brutta, tranne che in Medio Oriente e la democrazia è una cosa buona, tranne che in Medio Oriente. A proposito di doppio standard!”, afferma Deex Ibrahim. Testimonianze che sembrano coerenti con l'idea di alcuni osservatori sul fatto che, almeno finora, la rivoluzione egiziana sia stata un'occasione persa per Barack Obama.

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