Il regista di Il Cerchio, vincitore a Venezia nel 2000, è stato condannato a sei anni di carcere. Il regime lo accusa di aver voluto dirigere un documentario sulla rivolta verde dello scorso anno. Si mobilita il mondo del cinema
IRAN: I VOLTI DELLA PROTESTA
Il regime degli ayatollah incarcera e zittisce una delle voci più rappresentative del dissenso e, soprattutto, in grado di parlare all'esterno dell'Iran. Il regista iraniano Jafar Panahi, vincitore del Leone d'Oro a Venezia nel 2000 con Il cerchio, è stato condannato a sei anni di carcere. Gli è stato, inoltre, vietato di realizzare film e di lasciare il Paese per i prossimi 20 anni. Il regista "è stato condannato per la sua partecipazione a manifestazioni e per aver fatto propaganda contro il sistema", ha detto Farideh Gheirat, legale del regista, all'Isna. Panahi non potrà esercitare, ha aggiunto, diversi "diritti civili, compresa la realizzazione di film, la redazione di sceneggiature, i viaggi all'estero e la facoltà di rilasciare interviste a media locali e stranieri". Gheirat ha spiegato che entro 20 giorni presenterà ricorso in appello contro la sentenza. Con Panahi è stato condannato alla stessa pena e, per gli stessi reati, Mohammad Rasoulof, un altro regista arrestato insieme al primo lo scorso mese di marzo.
Jafar Panahi, 49 anni, aperto sostenitore di Mir Hossein Moussavi nella campagna presidenziale dello scorso anno, era da tempo nel mirino del regime iraniano. L'estate scorsa era stato fermato insieme con la moglie dopo aver partecipato alla commemorazione per Neda Agha Soltan, la giovane uccisa durante le manifestazioni seguite alle contestate elezioni di giugno. In febbraio gli era stato vietato di lasciare il Paese per partecipare alla Berlinale. A marzo è stato di nuovo arrestato e poi rilasciato su cauzione. Non gli fu permesso di recarsi a Cannes per esercitare come giurato.
Il cineasta iraniano si è affermato in Europa con un primo lungometraggio nel 1995, "Il palloncino bianco". Nel 1997 ha vinto il Pardo d'Oro a Locarno con il film "Lo Specchio", apologo sulla difficile condizione femminile in Iran. Stesso tema affrontato con "Il Cerchio" che gli e' valso, nel 2000, il Leone d'Oro a Venezia. Nel 2003 a Cannes ha ricevuto il premio nella sezione 'Un certain regard' con il film "L'Oro rosso", 'noir' la cui diffusione è stata proibita in Iran.
Il regista Leone d'Oro aveva definito "una sciocchezza" le accuse rivoltegli dal regime, che oggi infligge un colpo durissimo all'opposizione sociale iraniana e riporta alla memoria i provvedimenti sovietici contro lo scrittore Aleksandr Soljenitsin. In una dichiarazione rilasciata il mese scorso e resa nota nel corso delle "Giornate degli Autori - Venice Days", un evento a margine del festival del Cinema di Venezia, il regista aveva spiegato di aver cominciato a girare un film sulle proteste anti-Ahmadinejad dopo aver subito l'irruzione delle polizia iraniana nella propria abitazione e la confisca della propria collezione di film, considerata "oscena" dalla magistratura.
Alla notizia della condanna si è immediatamente mobilitato il mondo del cinema francese. Thierry Frémaux a capo del festival di Cannes, si è detto pronto a mettere in piedi un comitato per sostenere un regista considerato, ha detto, "scomodo" dal regime iraniano. E' inammissibile, ha aggiunto, che "realizzare un film" possa condurre una persona in carcere. Per il rilascio di Panahi si muovono anche il direttore della Cineteca francese, Serge Toubiana, e il presidente della stessa, Costa-Gavras, il regista Bertrand Tavernier e il filosofo Bernard-Henri Lévy, già impegnato nella campagna per la liberazione di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio.
Il cinema italiano, invece, non ha ancora fatto sentire la propria voce. A esso si è rivolto il portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti: "Il mondo del cinema che si è già mobilitato in favore del regista iraniano Jafar Panahi riprenda l'iniziativa per chiedere che la sentenza sia revocata". Duro il commento sul sito di Articolo21 del giornalista iraniano Ahmad Rafat: "E' una sentenza che lascia senza parole. La carriera cinematografica di Jafar Panahi, se sarà confermata la condanna, si è conclusa".
Il regime degli ayatollah incarcera e zittisce una delle voci più rappresentative del dissenso e, soprattutto, in grado di parlare all'esterno dell'Iran. Il regista iraniano Jafar Panahi, vincitore del Leone d'Oro a Venezia nel 2000 con Il cerchio, è stato condannato a sei anni di carcere. Gli è stato, inoltre, vietato di realizzare film e di lasciare il Paese per i prossimi 20 anni. Il regista "è stato condannato per la sua partecipazione a manifestazioni e per aver fatto propaganda contro il sistema", ha detto Farideh Gheirat, legale del regista, all'Isna. Panahi non potrà esercitare, ha aggiunto, diversi "diritti civili, compresa la realizzazione di film, la redazione di sceneggiature, i viaggi all'estero e la facoltà di rilasciare interviste a media locali e stranieri". Gheirat ha spiegato che entro 20 giorni presenterà ricorso in appello contro la sentenza. Con Panahi è stato condannato alla stessa pena e, per gli stessi reati, Mohammad Rasoulof, un altro regista arrestato insieme al primo lo scorso mese di marzo.
Jafar Panahi, 49 anni, aperto sostenitore di Mir Hossein Moussavi nella campagna presidenziale dello scorso anno, era da tempo nel mirino del regime iraniano. L'estate scorsa era stato fermato insieme con la moglie dopo aver partecipato alla commemorazione per Neda Agha Soltan, la giovane uccisa durante le manifestazioni seguite alle contestate elezioni di giugno. In febbraio gli era stato vietato di lasciare il Paese per partecipare alla Berlinale. A marzo è stato di nuovo arrestato e poi rilasciato su cauzione. Non gli fu permesso di recarsi a Cannes per esercitare come giurato.
Il cineasta iraniano si è affermato in Europa con un primo lungometraggio nel 1995, "Il palloncino bianco". Nel 1997 ha vinto il Pardo d'Oro a Locarno con il film "Lo Specchio", apologo sulla difficile condizione femminile in Iran. Stesso tema affrontato con "Il Cerchio" che gli e' valso, nel 2000, il Leone d'Oro a Venezia. Nel 2003 a Cannes ha ricevuto il premio nella sezione 'Un certain regard' con il film "L'Oro rosso", 'noir' la cui diffusione è stata proibita in Iran.
Il regista Leone d'Oro aveva definito "una sciocchezza" le accuse rivoltegli dal regime, che oggi infligge un colpo durissimo all'opposizione sociale iraniana e riporta alla memoria i provvedimenti sovietici contro lo scrittore Aleksandr Soljenitsin. In una dichiarazione rilasciata il mese scorso e resa nota nel corso delle "Giornate degli Autori - Venice Days", un evento a margine del festival del Cinema di Venezia, il regista aveva spiegato di aver cominciato a girare un film sulle proteste anti-Ahmadinejad dopo aver subito l'irruzione delle polizia iraniana nella propria abitazione e la confisca della propria collezione di film, considerata "oscena" dalla magistratura.
Alla notizia della condanna si è immediatamente mobilitato il mondo del cinema francese. Thierry Frémaux a capo del festival di Cannes, si è detto pronto a mettere in piedi un comitato per sostenere un regista considerato, ha detto, "scomodo" dal regime iraniano. E' inammissibile, ha aggiunto, che "realizzare un film" possa condurre una persona in carcere. Per il rilascio di Panahi si muovono anche il direttore della Cineteca francese, Serge Toubiana, e il presidente della stessa, Costa-Gavras, il regista Bertrand Tavernier e il filosofo Bernard-Henri Lévy, già impegnato nella campagna per la liberazione di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio.
Il cinema italiano, invece, non ha ancora fatto sentire la propria voce. A esso si è rivolto il portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti: "Il mondo del cinema che si è già mobilitato in favore del regista iraniano Jafar Panahi riprenda l'iniziativa per chiedere che la sentenza sia revocata". Duro il commento sul sito di Articolo21 del giornalista iraniano Ahmad Rafat: "E' una sentenza che lascia senza parole. La carriera cinematografica di Jafar Panahi, se sarà confermata la condanna, si è conclusa".