Le tensioni danno un'accellerata alle trattative. Al Maliki ha trovato un accordo con il partito interconfessionale Iraqiya e sarà ancora primo ministro. Si era votato a marzo
La svolta politica in Iraq è arrivata. A 8 mesi esatti dalle elezioni i partiti iracheni avrebbero raggiunto un accordo per formare un governo di coalizione con lo sciita Nuri al Maliki confermato come premier. Lo ha reso noto il portavoce dell'esecutivo, Ali al-Dabbagh. L'accordo di fatto dà vita ad una sorta di governo di solidarietà nazionale perché Maliki ha conquistato il sostegno del partito secolare sunnita-sciite Iraqiya del rivale ex premier Yad Allawi. A quest'ultima formazione andrà "la guida del Parlamento", ha aggiunto Dabbagh.
L'annuncio ufficiale dell'intesa tra Maliki e Allawi dovrebbe arrivare lunedì 9 novembre nella curda Arbil, dive i due si vedranno per un vertice deciso per mettere a punto i dettagli dell'intesa. Non è ancora chiaro, ha spiegato il parlamentare iracheno fedele ad Allawi, Jamal al-Nutikh, se al-Iraqiya vuole per sé il ruolo di speaker del Parlamento o la presidenza dell'assemblea, ricoperta oggi dal curdo Jalal Talabani. Quel che è certo, ha ribadito Butikh, è che "andremo ad Arbil perché è arrvato un accordo di reale spartizione del potere". Ad Arbil è stato invitato anche Moqtada al Sadr, il potente sciita la cui forza in Parlamento può contare su 40 seggi: "E' un fattore di equilibrio", ha detto di lui Alia Nusayef, altro parlamentare di Iraqya. Sadr, che dopo le elezioni era sembrato fare il proprio ingresso nella coalizione di Allawi, alla fine scelse il raggruppamento che fa riferimento a Maliki.
L'elezione di uno speaker del Parlamento aprirebbe la strada, anche dal punto di vista del timing istituzionale, alla nomina del nuovo premier. Su Allawi e Maliki hanno fatto pressioni, negli scorsi mesi, tutti gli attori della regione, da Riad a Teheran, e gli Stati Uniti. E un'accelerazione è stata determinata, probabilmente, anche dal timore che il Paese precipiti in una spirale di violenza e di terrore che si è manifestata con l'ondata di attentati della scorsa settimana. Barack Obama aveva detto di non essere soddisfatto dei "tempi troppo lunghi per la formazione del nuovo governo". Il timore più grande per il presidente americano oltre all'instabilita' del Paese, da cui ad agosto ha ritirato tutte le truppe combattenti, era "la frustrazione del popolo iracheno" che rischia di perdere ogni fiducia nelle regole democratiche.
L'annuncio ufficiale dell'intesa tra Maliki e Allawi dovrebbe arrivare lunedì 9 novembre nella curda Arbil, dive i due si vedranno per un vertice deciso per mettere a punto i dettagli dell'intesa. Non è ancora chiaro, ha spiegato il parlamentare iracheno fedele ad Allawi, Jamal al-Nutikh, se al-Iraqiya vuole per sé il ruolo di speaker del Parlamento o la presidenza dell'assemblea, ricoperta oggi dal curdo Jalal Talabani. Quel che è certo, ha ribadito Butikh, è che "andremo ad Arbil perché è arrvato un accordo di reale spartizione del potere". Ad Arbil è stato invitato anche Moqtada al Sadr, il potente sciita la cui forza in Parlamento può contare su 40 seggi: "E' un fattore di equilibrio", ha detto di lui Alia Nusayef, altro parlamentare di Iraqya. Sadr, che dopo le elezioni era sembrato fare il proprio ingresso nella coalizione di Allawi, alla fine scelse il raggruppamento che fa riferimento a Maliki.
L'elezione di uno speaker del Parlamento aprirebbe la strada, anche dal punto di vista del timing istituzionale, alla nomina del nuovo premier. Su Allawi e Maliki hanno fatto pressioni, negli scorsi mesi, tutti gli attori della regione, da Riad a Teheran, e gli Stati Uniti. E un'accelerazione è stata determinata, probabilmente, anche dal timore che il Paese precipiti in una spirale di violenza e di terrore che si è manifestata con l'ondata di attentati della scorsa settimana. Barack Obama aveva detto di non essere soddisfatto dei "tempi troppo lunghi per la formazione del nuovo governo". Il timore più grande per il presidente americano oltre all'instabilita' del Paese, da cui ad agosto ha ritirato tutte le truppe combattenti, era "la frustrazione del popolo iracheno" che rischia di perdere ogni fiducia nelle regole democratiche.