"Se gi insediamenti non vengono fermati ce ne andiamo", avvertono i palestinesi, ma secondo Netanyahu le costruzioni potrebbero riprendere il 26 settembre. Intanto Ehud Barak apre alla cessione di Gerusalemme Est e Obama parla di "progressi"
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Cisgiordania, un giorno tra i coloni
"Sono stati fatti progressi" nei colloqui di pace per il Medio Oriente. Il presidente americano Barack Obama si mostra ottimista, dopo i faccia a faccia alla vigilia dell'apertura dei negoziati di pace diretti tra Israele e palestinesi, che riprendono ufficialmente il 2 settembre a Washington dopo una sospensione di 18 mesi. Negoziati che però sembrano partire in salita, nonostante le parole concilianti del premier israeliane Netanyahu, che ha definito il presidente dell'Anp, Abu Mazen, "mio partner nella pace" e ha assicurato di volere mettere fine al conflitto mediorientale "una volta per tutte", avvisando tuttavia anche che "la pace deve anche essere difesa dai suoi nemici".
Mentre Barack Obama, nel corso della vigilia, riceveva ad uno ad uno i leader invitati, infatti, i palestinesi hanno avvertito che qualsiasi ripresa delle costruzioni nelle colonie ebraiche porterà all'interruzione dei negoziati diretti. "Gli insediamenti devono essere fermati e proseguirli significa mettere fine al processo di pace", ha detto il portavoce dell'Anp, Nabil Abu Rudeina, conversando con i giornalisti. Poco prima il premier israeliano, Benjiamin Netanyahu, aveva avvertito in un colloquio con il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che "non ci sarà alcuna estensione della moratoria sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania che termina il 26 settembre".
Obama ha ricevuto Netanyahu e vede anche, alla vigilia della ripresa dei negoziati diretti il presidente palestinese, Abu Mazen, il re di Giordania, Abdallah II, e il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Anche per Mubarak lo stop alle costruzioni negli insediamenti "sarà cruciale per il successo de negoziati". Al termine dei faccia a faccia, cena alla Casa Bianca per i cinque leader.
Da parte sua, il presidente americano ha condannato "l'assurdo massacro" dei quattro coloni israeliani uccisi a Hebron, ma ha avvertito che a nessuno sarà permesso di sabotare la ripresa dei negoziati diretti tra Israele e palestinesi. "Voglio che sia chiaro a tutti", ha affermato Obama al termine del colloquio con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, alla Casa Bianca, "che gli Stati Uniti non vacilla nel suo sostegno alla sicurezza d'Israele e respinge questo tipo di attività' terroristiche". Il messaggio "ad Hamas e a chiunque rivendichi questi odiosi crimini", ha aggiunto il presidente americano, "è che non ci fermeranno non solo dal garantire la sicurezza di Israele, ma neppure dal garantire una pace duratura".
Nelle ore precedenti da Israele si erano susseguite aperture e smentite in vista del negoziato. In un'intervista al quotidiano israeliano "Haaretz", il ministro della Difesa Ehud Barak, si è detto disposto a consegnare Gerusalemme Est ai palestinesi. Barak ha affermato che i colloqui si baseranno sul principio "due stati per due nazioni". "Gerusalemme Ovest e 12 quartieri ebrei, dove vivono 200mila persone - ha detto - saranno nostri". "I quartieri arabi, dove vivono circa 250mila persone, saranno loro", ha aggiunto ipotizzando "un regime speciale per la città vecchia", la parte più contesa. L'obiettivo è "mettere fine al conflitto e "a qualsiasi rivendicazione futura". Un'apertura sulla quale è piombata quasi subito la smentita di Netanyahu secondo cui Gerusalemme rimarrà "la capitale indivisa" di Israele.
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