Google contro la censura, i garanti contro Google

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La pubblicazione della mappa della censura pubblicata dalla grande G non la mette al riparo dalle preoccupazioni dei garanti della privacy di dieci Paesi. Sotto controllo Buzz e Street View

di Gabriele De Palma

Google e la privacy, un rapporto delicato e ambiguo. Sul sito (uno dei tanti) del colosso dei motori di ricerca e dell'advertising online oggi è stata pubblicata una mappa che riporta il numero di richieste governative fatte alla grande G dai governi di tutto il mondo. O quasi. Manca infatti quello cinese, che non pochi problemi ha creato nel passato e molti ne crea tutt'oggi all'azienda di Mountain View. Il motivo è la classificazione delle richieste del Partito comunista come un segreto di stato, quindi dati non divulgabili. La classifica che ne risulta quindi è come quella che risulterebbe dalla finale dei 100 metri senza Usain Bolt. Ma non solo, ci sono altri omissis, più o meno volontari , che impediscono a questa mappa di diventare il punto di riferimento per la censura dei contenuti in rete. Mancano ad esempio la stragrande maggioranza di richieste di rimozione dei contenuti protetti da copyright, fatte ad opera di privati e soprattutto dei rappresentanti dell'industria dell'entertainment, e mancano del tutto i dati relativi alla rimozione spontanea di contenuti da parte dell'azienda (pedofilia). Ciò premesso l'iniziativa di Google - qui le motivazioni in italiano - è meritoria soprattutto se, come promesso, in futuro i dati (che per ora riguardano solo il periodo luglio-dicembre 2009) verranno implementati con quelli mancanti e magari dettagliati meglio, come richiesto dai difensori dei diritti digitali della Electronic Frontier Foundation . Un esempio di trasparenza che tutti si augurano si trasformi in pratica comune.

Il passo avanti verso la chiarezza fatto dalla mappa, però non basta a risolvere i problemi dell'attore più ingombrante del mercato dell'information technology. L'ultimo in ordine di tempo è l'azione intrapresa da dieci garanti della privacy (Canada, Francia, Spagna, Italia, Irlanda, Olanda, Israele, Nuova Zelanda, Germania e Regno Unito) preoccupati di un nuovo comportamento messo in atto da alcuni protagonisti del mercato dell'information technology. Servizi come Buzz, o Street View o le recenti policy sulla pubblicità dei dati degli utenti – poi nuovamente modificate – su Facebook hanno destato i timori di una certa leggerezza nel trattamenti dei dati degli utenti. “È inaccettabile – recita la lettera scritta dai garanti e indirizzata direttamente al Ceo Eric Schmidt- rilasciare un prodotto o servizio che renda automaticamente pubbliche le informazioni, con l'idea di risolvere i problemi (di privacy) più avanti. La privacy non può essere trascurata nella fretta di introdurre nuove tecnologie al pubblico di tutto il mondo”. Le richieste inviate a Schmidt e a Google (ma da estendersi anche a Facebook e a chi possiede un enorme numero di dati personali degli utenti) di adottare policy chiare, facilmente consultabili e implementare strumenti di protezione automatica dei propri dati. A Google l'onere della replica non tanto su carta ma nei terms and conditions dei contratti che ognuno di noi firma, colpevolmente senza prestarci troppa attenzione, ogniqualvolta aderisce a uno dei servizi gratuiti e utili cui da Mountain View in questi anni ci hanno abituato.

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