Durante il summit sul nucleare di Washington, il presidente statunitense ha avuto diversi incontri bilaterali per discutere di sanzioni all’Iran. La Cina è disposta a inasprire le sanzioni, ma su un punto è stata chiara: il petrolio iraniano non si tocca
E' stato il summit nel summit. Nella enorme sala del Convention Center di Washington i leader di 47 paesi hanno discusso martedì in due sessioni plenarie la minaccia del terrorismo nucleare. Ma negli incontri bilaterali in margine al vertice l'argomento dominante è stato l'Iran, un paese in grado di produrre tra un anno l'uranio necessario ad un'arma nucleare - hanno affermato i funzionari della amministrazione Obama - anche se avrà bisogno di almeno tre anni per produrre tutte le altre componenti.
Ma in ogni caso il conto alla rovescia è in corso. Il presidente Barack Obama ha sfruttato la presenza contemporanea a Washington di un numero record di leader internazionali per organizzare l'offensiva diplomatica contro Teheran. E oggi il tema delle sanzioni è tornato ad essere discusso in una nuova riunione a New York degli ambasciatori presso l'Onu del cosiddetto 'Gruppo dei 5+1', cioè Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania.
Nei 15 incontri bilaterali dell'inquilino della Casa Bianca quello delle sanzioni è stato il tema spesso dominante. Come è accaduto nell'atteso faccia a faccia tra Obama e il presidente cinese Hu Jintao, durato ben 90 minuti, dove il presidente americano ha tentato di assicurarsi la disponibilità di Pechino a nuove misure contro il regime iraniano. Come sempre in questi casi il diavolo è nei dettagli e Obama ha dovuto dare rassicurazioni a Hu soprattutto per quanto riguarda il settore energetico vista la dipendenza della Cina dal petrolio iraniano (Pechino importa da Teheran il 12 per cento del suo petrolio).
Il numero tre del Dipartimento di Stato, William Burns, ha detto oggi al Senato che la Cina appare disponibile a sostenere nuove sanzioni all'Iran nell'ambito del consiglio di sicurezza dell'Onu "entro poche settimane". Ma ha aggiunto che sarà molto difficile convincere la stessa Cina e la Russia ad adottare misure punitive nel settore energetico, in particolare sulle forniture di benzina all'Iran, che importa circa il 40 per cento del suo fabbisogno. La stessa opinione è stata espressa dal ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner.
Ma la questione Iran è stata affrontata da Obama anche negli altri bilaterali del summit di Washington. Alla Casa Bianca erano giunte molte richieste, da parte dei 46 paesi invitati al vertice, per incontri con Obama. Tra i 15 leader che hanno ottenuto il faccia a faccia con il presidente Usa c'era anche il presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbarev. Un incontro che ha confermato il pragmatismo della politica estera di Obama, dove il rispetto della democrazia e dei diritti umani non sono argomenti prioritari rispetto ad altri temi (nel caso del Kazakistan la luce verde al sorvolo dei velivoli Usa diretti in Afghanistan).
Questo mix insolito di idealismo (un mondo senza armi nucleari) e di pragmatismo (fatti e non promesse) sta diventando il tema principale della politica estera di Obama. Una politica che solo adesso sta prendendo forma dopo che il presidente Usa ha trascorso i primi mesi del suo soggiorno alla Casa Bianca ad affrontare i problemi ereditati da George W. Bush (dalle guerre in Iraq e Afghanistan alla immagine negativa dell'America nel mondo). Adesso, chiusa positivamente sul fronte interno l'estenuante battaglia per la riforma sanitaria, Obama è finalmente libero di sviluppare la sua agenda internazionale che appare dominata in questa fase dal tema della non proliferazione nucleare. "Il summit sulla sicurezza nucleare ha dato al presidente Obama l'occasione di mostrare la sua aggressiva leadership - osserva oggi il New York Times - dopo avere speso i primi mesi solo a dimostrare che non era George W. Bush".
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Ma in ogni caso il conto alla rovescia è in corso. Il presidente Barack Obama ha sfruttato la presenza contemporanea a Washington di un numero record di leader internazionali per organizzare l'offensiva diplomatica contro Teheran. E oggi il tema delle sanzioni è tornato ad essere discusso in una nuova riunione a New York degli ambasciatori presso l'Onu del cosiddetto 'Gruppo dei 5+1', cioè Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania.
Nei 15 incontri bilaterali dell'inquilino della Casa Bianca quello delle sanzioni è stato il tema spesso dominante. Come è accaduto nell'atteso faccia a faccia tra Obama e il presidente cinese Hu Jintao, durato ben 90 minuti, dove il presidente americano ha tentato di assicurarsi la disponibilità di Pechino a nuove misure contro il regime iraniano. Come sempre in questi casi il diavolo è nei dettagli e Obama ha dovuto dare rassicurazioni a Hu soprattutto per quanto riguarda il settore energetico vista la dipendenza della Cina dal petrolio iraniano (Pechino importa da Teheran il 12 per cento del suo petrolio).
Il numero tre del Dipartimento di Stato, William Burns, ha detto oggi al Senato che la Cina appare disponibile a sostenere nuove sanzioni all'Iran nell'ambito del consiglio di sicurezza dell'Onu "entro poche settimane". Ma ha aggiunto che sarà molto difficile convincere la stessa Cina e la Russia ad adottare misure punitive nel settore energetico, in particolare sulle forniture di benzina all'Iran, che importa circa il 40 per cento del suo fabbisogno. La stessa opinione è stata espressa dal ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner.
Ma la questione Iran è stata affrontata da Obama anche negli altri bilaterali del summit di Washington. Alla Casa Bianca erano giunte molte richieste, da parte dei 46 paesi invitati al vertice, per incontri con Obama. Tra i 15 leader che hanno ottenuto il faccia a faccia con il presidente Usa c'era anche il presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbarev. Un incontro che ha confermato il pragmatismo della politica estera di Obama, dove il rispetto della democrazia e dei diritti umani non sono argomenti prioritari rispetto ad altri temi (nel caso del Kazakistan la luce verde al sorvolo dei velivoli Usa diretti in Afghanistan).
Questo mix insolito di idealismo (un mondo senza armi nucleari) e di pragmatismo (fatti e non promesse) sta diventando il tema principale della politica estera di Obama. Una politica che solo adesso sta prendendo forma dopo che il presidente Usa ha trascorso i primi mesi del suo soggiorno alla Casa Bianca ad affrontare i problemi ereditati da George W. Bush (dalle guerre in Iraq e Afghanistan alla immagine negativa dell'America nel mondo). Adesso, chiusa positivamente sul fronte interno l'estenuante battaglia per la riforma sanitaria, Obama è finalmente libero di sviluppare la sua agenda internazionale che appare dominata in questa fase dal tema della non proliferazione nucleare. "Il summit sulla sicurezza nucleare ha dato al presidente Obama l'occasione di mostrare la sua aggressiva leadership - osserva oggi il New York Times - dopo avere speso i primi mesi solo a dimostrare che non era George W. Bush".
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