Una proposta del Pentagono tenta di superare la dottrina Clinton del “non chiedere, non dire” e di porre le basi dell’ammissione di gay dichiarati nelle Forze Armate. Ma il mondo militare mondiale ha qualche dubbio. La Russa: “Non vedo perché no”
Il Pentagono ha annunciato la creazione di un gruppo di studio e altri passi per rimuovere il divieto per i militari gay di rendere pubblico il loro orientamento sessuale. Lo ha anticipato il "Washington Post", dopo che un impegno in questo senso era stato assunto dal presidente Barack Obama nel discorso sullo stato dell'Unione.
Nel corso di un'audizione davanti alla Commissione forze armate del Senato sul bilancio, il segretario alla Difesa, Robert Gates e il capo degli Stati maggiori riuniti, ammiraglio Michael Mullen, illustreranno i dettagli della nuova normativa su uomini e donne gay in divisa, avvertendo però che ci vorranno anni per una loro piena integrazione.
Come primo passo, ha spiegato il "Post", non saranno più intraprese azioni disciplinari nei confronti dei militari la cui omosessualità venga rivelata contro la loro volontà da terze persone. Inoltre verrà creato un gruppo di studio con un consigliere militare e uno civile che nel giro di un anno dovrà stabilire come integrare i gay nelle forze armate, superando la vecchia politica del "non chiedere, non dire" varata da Bill Clinton nel 1993 che prevedeva l'espulsione per chi dichiarava la propria omosessualità. Molti i punti da chiarire: per esempio fino a che punto gli omosessuali potranno esibire il loro orientamento sessuale in servizio, se gli eterosessuali possano essere obbligati a dividere l'alloggio con i gay e se si possa estendere l'assistenza medica e pensionistica a partner dello stesso sesso.
A se negli stati Uniti, anche se in una forma curiosa, la presenza dei gay nelle Forze Armate, era stata sdoganata nel 1993 con la “formula Clinton”, lo stesso non vale per gli eserciti del resto del mondo. Alla notizia che gli Usa stanno valutando la possibilità di integrare gli omosessuali un generale dell’esercito brasiliano, Raymundo Nonato de Cerqueira, ha sbottato: “In Brasile i soldati non obbediscono agli ordini di comandanti omosessuali”. "I soldati in generale non accettano di essere comandati da un gay. Sarebbe meglio che un omosessuale cercasse un altro settore per la sua attività lavorativa".
"E' già stato provato ampiamente, in Vietnam per esempio, che il comando in guerra richiede una serie di attributi, che il gay tende a non avere, e perciò le truppe possono non obbedire", si è spiegato il generale. E ha proseguito: "Non è che io sia contro gli omosessuali, ognuno deve vivere come gli pare. Dico solo che la vita militare, e l'esercizio del comando in particolare, non si addicono a quel tipo di individuo. E' meglio che si dedichi a qualcos'altro". Ma anche nell’esercito Carioca c’è chi si dice possibilista. Un altro alto ufficiale, l'ammiraglio Luiz Pinto, invece ha risposto dicendo: "Non vedo problemi, purché il militare gay mantenga la dignità personale e quella dell'uniforme che indossa".
E in Italia? A rispondere al quesito è il ministro della Difesa in persona, Ignazio La Russa: “Non vedo alcuna incompatibilità tra l'essere omosessuale e il servizio militare nelle Forze armate italiane”. Ricordando che "in Italia non c'è alcuna norma, come c'era in altri Paesi, che vieti ai gay di fare il militare. Poi, nell'esame caso per caso, ci può essere una valutazione sulla personalità del singolo che tiene conto di tante cose”. Come sempre il ministro non rinuncia all’ironia che lo contrdistingue: “In passato, quando c'era il servizio di leva, erano più quelli che dichiaravano di essere gay anche senza esserlo nel tentativo di evitare la naja". "Semmai, quindi, l'opera di selezione dei militari per il servizio di leva è stata al contrario: lo fai anche se dici di essere gay, noi abbiamo avuto un approccio opposto. "Se qualche problema poteva essere sollevato in passato, quando il servizio militare era obbligatorio, adesso questo argomento, questa obiezione non possono neanche essere posti. Quindi -osserva La Russa, giunto nel pomeriggio a Istanbul per prendere parte al vertice informale dei ministri della Difesa della Nato- di per sé l'essere gay non ha alcun valore ai fini della compatibilità con il militare. Essere gay o non esserlo non ha rilevanza per essere ammessi".
Ma La Russa tiene a precisare di non aver "mai ricevuto segnalazioni da parte di gay in uniforme che lamentassero di essere discriminati e neanche l'opposto, qualcuno che ha protestato per la presenza di omosessuali. Da questo punto di vista -rileva- sono molto contento perché la considererei una discriminazione senza alcuna ragione. Diverso è se uno dà fastidio a persone del suo stesso sesso o del sesso opposto: non dimentichiamo che adesso ci sono anche le ragazze. Quello non l'ammettiamo, anzi la molestia sessuale verrebbe sanzionata. Nessuna discriminazione, quindi -conclude- ma neanche un trattamento di favore".
Nel corso di un'audizione davanti alla Commissione forze armate del Senato sul bilancio, il segretario alla Difesa, Robert Gates e il capo degli Stati maggiori riuniti, ammiraglio Michael Mullen, illustreranno i dettagli della nuova normativa su uomini e donne gay in divisa, avvertendo però che ci vorranno anni per una loro piena integrazione.
Come primo passo, ha spiegato il "Post", non saranno più intraprese azioni disciplinari nei confronti dei militari la cui omosessualità venga rivelata contro la loro volontà da terze persone. Inoltre verrà creato un gruppo di studio con un consigliere militare e uno civile che nel giro di un anno dovrà stabilire come integrare i gay nelle forze armate, superando la vecchia politica del "non chiedere, non dire" varata da Bill Clinton nel 1993 che prevedeva l'espulsione per chi dichiarava la propria omosessualità. Molti i punti da chiarire: per esempio fino a che punto gli omosessuali potranno esibire il loro orientamento sessuale in servizio, se gli eterosessuali possano essere obbligati a dividere l'alloggio con i gay e se si possa estendere l'assistenza medica e pensionistica a partner dello stesso sesso.
A se negli stati Uniti, anche se in una forma curiosa, la presenza dei gay nelle Forze Armate, era stata sdoganata nel 1993 con la “formula Clinton”, lo stesso non vale per gli eserciti del resto del mondo. Alla notizia che gli Usa stanno valutando la possibilità di integrare gli omosessuali un generale dell’esercito brasiliano, Raymundo Nonato de Cerqueira, ha sbottato: “In Brasile i soldati non obbediscono agli ordini di comandanti omosessuali”. "I soldati in generale non accettano di essere comandati da un gay. Sarebbe meglio che un omosessuale cercasse un altro settore per la sua attività lavorativa".
"E' già stato provato ampiamente, in Vietnam per esempio, che il comando in guerra richiede una serie di attributi, che il gay tende a non avere, e perciò le truppe possono non obbedire", si è spiegato il generale. E ha proseguito: "Non è che io sia contro gli omosessuali, ognuno deve vivere come gli pare. Dico solo che la vita militare, e l'esercizio del comando in particolare, non si addicono a quel tipo di individuo. E' meglio che si dedichi a qualcos'altro". Ma anche nell’esercito Carioca c’è chi si dice possibilista. Un altro alto ufficiale, l'ammiraglio Luiz Pinto, invece ha risposto dicendo: "Non vedo problemi, purché il militare gay mantenga la dignità personale e quella dell'uniforme che indossa".
E in Italia? A rispondere al quesito è il ministro della Difesa in persona, Ignazio La Russa: “Non vedo alcuna incompatibilità tra l'essere omosessuale e il servizio militare nelle Forze armate italiane”. Ricordando che "in Italia non c'è alcuna norma, come c'era in altri Paesi, che vieti ai gay di fare il militare. Poi, nell'esame caso per caso, ci può essere una valutazione sulla personalità del singolo che tiene conto di tante cose”. Come sempre il ministro non rinuncia all’ironia che lo contrdistingue: “In passato, quando c'era il servizio di leva, erano più quelli che dichiaravano di essere gay anche senza esserlo nel tentativo di evitare la naja". "Semmai, quindi, l'opera di selezione dei militari per il servizio di leva è stata al contrario: lo fai anche se dici di essere gay, noi abbiamo avuto un approccio opposto. "Se qualche problema poteva essere sollevato in passato, quando il servizio militare era obbligatorio, adesso questo argomento, questa obiezione non possono neanche essere posti. Quindi -osserva La Russa, giunto nel pomeriggio a Istanbul per prendere parte al vertice informale dei ministri della Difesa della Nato- di per sé l'essere gay non ha alcun valore ai fini della compatibilità con il militare. Essere gay o non esserlo non ha rilevanza per essere ammessi".
Ma La Russa tiene a precisare di non aver "mai ricevuto segnalazioni da parte di gay in uniforme che lamentassero di essere discriminati e neanche l'opposto, qualcuno che ha protestato per la presenza di omosessuali. Da questo punto di vista -rileva- sono molto contento perché la considererei una discriminazione senza alcuna ragione. Diverso è se uno dà fastidio a persone del suo stesso sesso o del sesso opposto: non dimentichiamo che adesso ci sono anche le ragazze. Quello non l'ammettiamo, anzi la molestia sessuale verrebbe sanzionata. Nessuna discriminazione, quindi -conclude- ma neanche un trattamento di favore".