Teheran insegna: nel mondo arabo la democrazia passa dal web

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Il web ha giocato un ruolo importante in Iran durante le ultime proteste, nascoste dal governo
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Blog, Facebook, Twitter e YouTube: veicoli di democrazia per i paesi arabi, nonostante i filtri e le censure previste dai governi locali

di Floriana Ferrando

La repressione attuata dai governi nei paesi arabi non sempre ha il risultato sperato. Anzi, gli opprimenti divieti hanno portato alla continua nascita di nuovi blog e  attività di protesta sul web volte a promuovere progetti di cambiamento.

L'ANHRI (Arabic Network for Human Rights Information), un’organizzazione che promuove la libertà di espressione in Medioriente e in Nord Africa, ha preso in esame la libertà di espressione online in venti paesi arabi e il risultato è riassunto in questa dichiarazione: “Internet sta producendo un effetto valanga nel percorso di sviluppo democratico nel mondo arabo. Questa nuova forza non può essere fermata, nonostante i governi continuino a promuovere attività di censura, blocco dei siti web o persino l’arresto e la tortura degli utenti Internet”.

Insomma, il governo ce la mette tutta per controllare il mondo virtuale, ma sempre più spesso qualcosa sfugge al suo potere. Ha fermato pubblicazioni sui giornali e trasmissioni televisive, ma bloccare Internet è un’altra cosa. Si può bannare un sito, ma le sue informazioni avranno ormai fatto il giro del web e si potranno trovare su altri portali e blog.

Lo studio ha prodotto un report intitolato Un social network, con un messaggio di ribellione (One social network, with a rebellious message), che descrive gli strumenti usati dai giovani arabi per praticare il diritto alla libertà di parola, denunciare violazioni dei diritti umani, mettere in luce casi di corruzione o azioni repressive.

Secondo le stime dell’ANHRI, si possono contare circa seicentomila blog arabi, con la maggiore concentrazione in Egitto, anche se solamente un quarto di essi sono effettivamente attivi.

Tuttavia in Paesi dove la democrazia esiste solo in linea teorica, frequentare un luogo apparentemente libero come la Rete può diventare una vera e propria impresa. Il governo applica il pugno duro e sono stati molti i blogger perseguitati o arrestati. Ne sono esempi Fouad AlFarhan, arrestato e detenuto per cinque mesi, o l’egiziano Ahmed Mohsen.

Facebook e Twitter hanno avuto indubbiamente un importante ruolo politico, diventando una nuova arena per gli attivisti arabi e il loro movimento di protesta, contribuendo al successo del movimento egiziano legato allo sciopero del 6 aprile 2008, che ha preso il via proprio da un gruppo nato su FB, dove gli utenti arabi sono approssimativamente dodici milioni: un ottimo numero per un sito che fino al 2006 era praticamente sconosciuto.

Altra spina nel fianco è You Tube: la polizia saudita è arrivata a pagare alcuni utenti per cancellare materiali inappropriati, attuando una campagna chiamata “Cleansing YouTube”.

Anche in materia fotografica i governi arabi locali hanno il loro bel da fare. Flickr ha misteriosamente eliminato le immagini del famoso blogger egiziano Hossam el-Hamalawy, riguardanti la guerra israeliana su Gaza, mentre rimangono in Rete quelle a sostegno del movimento per la riforma politica del mondo arabo. Anche in questo caso non mancano i blocchi, adottati anche da due Paesi arabi, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

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