La moda del governo 2.0 contagia anche l’Iraq, che però dimostra di non conoscere i nuovi strumenti. Ma non é il solo. Anche la Camera dei Deputati e la Casa Reale inglese ignorano le regole della comunicazione ‘sociale’
di Gabriele De Palma
Che il web sia uno strumento sempre più utilizzato dalla politica è ormai risaputo. Come venga usato invece è assai più discutibile. A volte infatti capita che l’apertura di pagine, canali e profili da parte di governi sugli strumenti 2.0 (YouTube, Facebook, Twitter, o più semplicemente blog istituzionali) dimostri tutta l’ignoranza in materia di chi si affaccia ai nuovi media con la presunzione che siano una replica di quelli tradizionali. Ultimo governo in ordine di tempo ad aprire un proprio canale su YouTube è stato quello iracheno, desideroso di non tralasciare nulla in vista delle elezioni del 2010. E di controbattere all’immagine negativa riportata dai media occidentali. L’iniziativa lascia però molto a desiderare per almeno un paio di ragioni. La prima è che considerata la situazione dell’infrastruttura tlc del Paese, vedere anche i video a bassa definizione è un miraggio. La seconda, più grave, è che nel canale allestito dalla coalizione di Nuri Al-Maliki è stata disattivata la possibilità di lasciare commenti ai video contenuti, tradendo del tutto il significato di una piattaforma come YouTube.
Gli iracheni non sono però gli unici ad aver travisato la natura del nuovo mezzo di comunicazione, anche il canale della Camera dei Deputati è incappata spesso, nel suo primo anno di vita, in inibizione di commenti. E allora che ci si va a fare su YouTube se lo si usa come la vecchia televisione, che permette una comunicazione esclusivamente unidirezionale? Anche la Casa Reale inglese pecca di mancanza di democraticità non volendo leggere i commenti dei sudditi, ma da una monarchia è un errore più fisiologico. Il presidente francese Sarkozy invece ha abbandonato la contesa, dopo che ha realizzato di non riuscire a gestire un proprio canale su YouTube ed essere addirittura incappato in uno spiacevole inconveniente di copyright (per chi come lui si è distinto nella lotta alla pirateria online) con l’emittente transalpina TF1.
Migliore, - sia dal punto di vista della frequenza degli aggiornamenti che dell’utilizzo di tutti gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma di condivisione video - l’amministrazione Obama, che sul web e le tecnologie ha puntato molto seriamente e non solo per seguire una moda passeggera. Così pure il Vaticano. In Medio Oriente la regina giordana Rania si è dimostrata una abile comunicatrice 2.0 così come il presidente estone Toomas Hendrik Ilves.
Ci sono poi governi che usano il web 2.0 come semplice canale trasmissivo, per scovare e reprimere le voci dissidenti. Tristemente celebri alcuni casi cinesi di censura e di spionaggio informatico, ma la cronaca recente riporta il caso del governo iraniano che monitorando i video di YouTube e i profili di Facebook cerca di intimorire coloro che criticano il governo dall’estero.
È successo che uno studente iraniano residente negli Usa ha ricevuto prima un messaggio minatorio che gli intimava di non pubblicare messaggi critici se non voleva che venissero puniti i suoi famigliari rimasti in Iran. Dopo aver pensato a uno scherzo si è dovuto ricredere quando gli è stato comunicato che il padre era stato arrestato e che lui non poteva più tornare a Teheran. Evidentemente Amahdinejad, scottato dal danno all’immagine internazionale in occasione delle ultime elezioni causato in larga parte da testimonianze pubblicate sul web, ha capito che il 2.0 non è una moda futile.
Ecco il discorso di insediamento del Presidente Barack Obama, visto da oltre un milione di utenti.
L’ex primo ministro inglese Tony Blair continua ad aggiornare il proprio canale YouTube anche dopo aver perso l’incarico. Il video più visto (27mila visite) testimonia un recente viaggio ambientalista in Cina.
La Regina Elisabetta in Parlamento
Che il web sia uno strumento sempre più utilizzato dalla politica è ormai risaputo. Come venga usato invece è assai più discutibile. A volte infatti capita che l’apertura di pagine, canali e profili da parte di governi sugli strumenti 2.0 (YouTube, Facebook, Twitter, o più semplicemente blog istituzionali) dimostri tutta l’ignoranza in materia di chi si affaccia ai nuovi media con la presunzione che siano una replica di quelli tradizionali. Ultimo governo in ordine di tempo ad aprire un proprio canale su YouTube è stato quello iracheno, desideroso di non tralasciare nulla in vista delle elezioni del 2010. E di controbattere all’immagine negativa riportata dai media occidentali. L’iniziativa lascia però molto a desiderare per almeno un paio di ragioni. La prima è che considerata la situazione dell’infrastruttura tlc del Paese, vedere anche i video a bassa definizione è un miraggio. La seconda, più grave, è che nel canale allestito dalla coalizione di Nuri Al-Maliki è stata disattivata la possibilità di lasciare commenti ai video contenuti, tradendo del tutto il significato di una piattaforma come YouTube.
Gli iracheni non sono però gli unici ad aver travisato la natura del nuovo mezzo di comunicazione, anche il canale della Camera dei Deputati è incappata spesso, nel suo primo anno di vita, in inibizione di commenti. E allora che ci si va a fare su YouTube se lo si usa come la vecchia televisione, che permette una comunicazione esclusivamente unidirezionale? Anche la Casa Reale inglese pecca di mancanza di democraticità non volendo leggere i commenti dei sudditi, ma da una monarchia è un errore più fisiologico. Il presidente francese Sarkozy invece ha abbandonato la contesa, dopo che ha realizzato di non riuscire a gestire un proprio canale su YouTube ed essere addirittura incappato in uno spiacevole inconveniente di copyright (per chi come lui si è distinto nella lotta alla pirateria online) con l’emittente transalpina TF1.
Migliore, - sia dal punto di vista della frequenza degli aggiornamenti che dell’utilizzo di tutti gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma di condivisione video - l’amministrazione Obama, che sul web e le tecnologie ha puntato molto seriamente e non solo per seguire una moda passeggera. Così pure il Vaticano. In Medio Oriente la regina giordana Rania si è dimostrata una abile comunicatrice 2.0 così come il presidente estone Toomas Hendrik Ilves.
Ci sono poi governi che usano il web 2.0 come semplice canale trasmissivo, per scovare e reprimere le voci dissidenti. Tristemente celebri alcuni casi cinesi di censura e di spionaggio informatico, ma la cronaca recente riporta il caso del governo iraniano che monitorando i video di YouTube e i profili di Facebook cerca di intimorire coloro che criticano il governo dall’estero.
È successo che uno studente iraniano residente negli Usa ha ricevuto prima un messaggio minatorio che gli intimava di non pubblicare messaggi critici se non voleva che venissero puniti i suoi famigliari rimasti in Iran. Dopo aver pensato a uno scherzo si è dovuto ricredere quando gli è stato comunicato che il padre era stato arrestato e che lui non poteva più tornare a Teheran. Evidentemente Amahdinejad, scottato dal danno all’immagine internazionale in occasione delle ultime elezioni causato in larga parte da testimonianze pubblicate sul web, ha capito che il 2.0 non è una moda futile.
Ecco il discorso di insediamento del Presidente Barack Obama, visto da oltre un milione di utenti.
L’ex primo ministro inglese Tony Blair continua ad aggiornare il proprio canale YouTube anche dopo aver perso l’incarico. Il video più visto (27mila visite) testimonia un recente viaggio ambientalista in Cina.
La Regina Elisabetta in Parlamento