Dopo i recenti casi di maltrattamenti a Cuba, Global Voices ha rilasciato Threatened Voices, progetto per denunciare i casi di giornalisti e attivisti online messi sotto silenzio. Nei regimi autoritari, ma anche nei Paesi democratici.
di Nicola Bruno
Le recenti violenze contro la blogger cubana Yoani Sanchez hanno fatto alzare il livello di guardia sulla libertà dell'informazione nel mondo. Anche perché la Sanchez è solo una delle 191 voci che ogni giorno devono fare i conti con minacce fisiche e, nei casi più estremi, anche il carcere.
Ce lo ricorda un nuovo servizio lanciato online per raccogliere informazioni su tutti i blogger e gli attivisti sotto minaccia. Si chiama Threatened Voices ed è un progetto nato da una costola di Global Voices, l'ottimo aggregatore di notizie dal basso. Il sito raccoglie le segnalazioni messe a disposizione da diverse organizzazioni (tra gli altri Reporters Senza Frontiere, Human Rights Watch, Amnesty International).
A differenza, però, dei report occasionali (che spesso riescono a fare notizia solo per qualche giorno), Threatened Voices intende monitorare in maniera continuativa l'evoluzione dei singoli casi. Anche dopo il rilascio da parte delle autorità. Il tutto attraverso diversi strumenti partecipativi: timeline, black-list, mappe interattive. A dare una veloce occhiata alla mappa, risalta subito il triste primato della Cina: chissà se il recente appello di Obama riuscirà a smuovere qualcosa.
Non stupisce che si registri un "sovraffollamento" proprio in questi Paesi dove i blogger hanno costituito l'unica voce attendibile durante recenti proteste popolari. È il caso dell'Iran (23 segnalazioni), appunto, ma anche dell'Egitto (28), la Birmania, l'Iraq. Lo stesso vale per altri Paesi ad alta tensione politica: in Siria continua l'escalation contro i blogger all'opposizione e così pure in Madagascar.
La mappa di Threatened Voices è utile anche per ricordarsi delle tante nazioni "democratiche" che mettono in campo politiche repressive nei confronti dei blogger: negli Stati Uniti ci sono 3 attivisti sotto minaccia (tra cui Elliott Madison arrestato dall'FBI durante l'ultimo G20 per aver "organizzato le proteste attraverso Twitter"). Ancora più clamoroso il caso di Park Dae Sung , blogger sud-coreano che è rimasto quattro mesi in carcere. La sua colpa? Mesi prima aveva anticipato lo scoppio della crisi economica globale. Per il governo di Seoul si trattava di un "grave reato contro lo stato".
Le recenti violenze contro la blogger cubana Yoani Sanchez hanno fatto alzare il livello di guardia sulla libertà dell'informazione nel mondo. Anche perché la Sanchez è solo una delle 191 voci che ogni giorno devono fare i conti con minacce fisiche e, nei casi più estremi, anche il carcere.
Ce lo ricorda un nuovo servizio lanciato online per raccogliere informazioni su tutti i blogger e gli attivisti sotto minaccia. Si chiama Threatened Voices ed è un progetto nato da una costola di Global Voices, l'ottimo aggregatore di notizie dal basso. Il sito raccoglie le segnalazioni messe a disposizione da diverse organizzazioni (tra gli altri Reporters Senza Frontiere, Human Rights Watch, Amnesty International).
A differenza, però, dei report occasionali (che spesso riescono a fare notizia solo per qualche giorno), Threatened Voices intende monitorare in maniera continuativa l'evoluzione dei singoli casi. Anche dopo il rilascio da parte delle autorità. Il tutto attraverso diversi strumenti partecipativi: timeline, black-list, mappe interattive. A dare una veloce occhiata alla mappa, risalta subito il triste primato della Cina: chissà se il recente appello di Obama riuscirà a smuovere qualcosa.
Non stupisce che si registri un "sovraffollamento" proprio in questi Paesi dove i blogger hanno costituito l'unica voce attendibile durante recenti proteste popolari. È il caso dell'Iran (23 segnalazioni), appunto, ma anche dell'Egitto (28), la Birmania, l'Iraq. Lo stesso vale per altri Paesi ad alta tensione politica: in Siria continua l'escalation contro i blogger all'opposizione e così pure in Madagascar.
La mappa di Threatened Voices è utile anche per ricordarsi delle tante nazioni "democratiche" che mettono in campo politiche repressive nei confronti dei blogger: negli Stati Uniti ci sono 3 attivisti sotto minaccia (tra cui Elliott Madison arrestato dall'FBI durante l'ultimo G20 per aver "organizzato le proteste attraverso Twitter"). Ancora più clamoroso il caso di Park Dae Sung , blogger sud-coreano che è rimasto quattro mesi in carcere. La sua colpa? Mesi prima aveva anticipato lo scoppio della crisi economica globale. Per il governo di Seoul si trattava di un "grave reato contro lo stato".