Coronavirus Bergamo, l'inchiesta sull'ospedale di Alzano Lombardo

Lombardia

Nel mirino degli inquirenti ci sono sia la gestione dei primi malati risultati positivi, ricoverati, è l’ipotesi, senza essere isolati dagli altri degenti, sia la decisione il 23 febbraio di chiudere e poi riaprire dopo alcune ore il pronto soccorso

Proseguono le indagini della Procura di Bergamo sull'ospedale di Alzano Lombardo, in Valle Seriana. Al momento il fascicolo è ancora a carico di ignoti e riguarda sia le presunte irregolarità nella gestione dei primi pazienti colpiti dal Coronavirus che l'anomala chiusura e riapertura nell'arco di poche ore del pronto soccorso. Da quanto riferiscono fonti investigative, non si esclude che l'inchiesta si possa allargare ad altri presidi, in quanto ci si attende una serie di esposti e denunce da parte dei familiari di pazienti con coronavirus morti nella Bergamasca e ammalatisi nei primi giorni dell'epidemia. Nei giorni scorsi il procuratore facente funzione Cristina Rota ha creato un 'pool Covid' dedicato solamente dei casi legati all'epidemia e delegato i carabinieri del Nas di Brescia che, lunedì 6 e martedì 7 aprile, hanno perquisito la struttura e acquisito alcuni documenti. 

L'inchiesta

Nel mirino di inquirenti e investigatori, che si sono fatti consegnare le cartelle cliniche di alcune persone, ci sono sia la gestione dei primi malati risultati positivi - che sarebbero stati ricoverati, è l’ipotesi, senza essere isolati dagli altri degenti -, sia la decisione il 23 febbraio di chiudere e poi riaprire dopo alcune ore il pronto soccorso, dove si erano registrati due casi di contagio. Episodio questo su cui è intervenuto ieri l'assessore al Welfare Giulio Gallera per il quale "è falsa la ricostruzione secondo cui dopo il primo contagiato non è stato sanificato prima della riapertura", avvenuta "in condivisione con la Regione, come avevamo fatto per Codogno".

Le parole di Attilio Fontana

Sulla questione è intervenuto anche Attilio Fontana, governatore della Lombardia. All'ospedale di Alzano Lombardo "i nostri sanitari hanno rispettato i protocolli. Anche in quel caso se ne sta occupando la magistratura ma noi non abbiamo nessuna preoccupazione", ha detto in collegamento con 7 Gold. Poi ha proseguito: "Ascolteremo con attenzione quello che ci dicono i nostri dirigenti, se è stato rispettato o meno ogni tipo di obbligo, che dalla lettura delle carte sembra ci sia stato. Però valuterà chi svolgerà le indagini e la magistratura".

La testimonianza di un medico

"Di polmoniti febbrili ne vediamo a centinaia in questo periodo. Nell'anziano in inverno è una delle patologie più frequenti e non è che per questo si chiude un ospedale. Che poi sia emerso che era Covid-19 è evidente. Ma in quei giorni l'indicazione aziendale era solo indagare se c'erano stati contatti con cinesi, specie di Wuhan, o con casi di positivi accertati e non di fare il tampone". Lo racconta all'ANSA un medico, che chiede l'anonimato, dell'ospedale di Alzano Lombardo. Il camice bianco spiega cos’è accaduto in quelle giornate "A me non risultano - prosegue - segnalazioni di polmoniti interstiziali prima dello scorso 22 febbraio. C'erano pazienti con polmoniti certo, ma il Covid-19 è una patologia diversa. Voce 'radio ospedale' - dice sempre il medico - parlava di un iperafflusso ossia un aumento degli accessi in pronto soccorso di persone con polmonite che venivano da fuori ma che venivano mandate a casa quando erano lievi". Il dottore spiega invece di non sapere nulla dell'anomala chiusura e riapertura poche ore dopo del pronto soccorso il 23 febbraio scorso. "Siamo tutti dispiaciuti per quello che è successo - precisa -. Per noi è stata una esperienza terribile. se ci sono stati errori gestionali non sta a noi dire di chi è la responsabilità. C'è una inchiesta aperta. Non mi permetto di dare giudizi. Era una patologia di cui non si era a conoscenza qui come in tutto il mondo. Responsabilità mediche di chi lavora qui ne vedo poche - conclude -. Qui è stato fatto tutto quello che bisognava fare e il personale va solo ringraziato".

Il dossier

Intanto, riporta il Corriere della Sera, in un dossier dell’Asst di Bergamo Est datato 3 aprile compare la scoperta di un focolaio che si sarebbe sviluppato a metà febbraio, prima dunque dei primi casi emersi il 23 febbraio. I pazienti ricoverati in quel periodo non sarebbero stati sottoposti a tampone in quanto non presentavano “le condizioni previste dal ministero della Salute per la definizione di caso sospetto”. Stando a quanto riporta il quotidiano, inoltre, nonostante la rivelazione del focolaio tra Alzano e Nembro nessuno avrebbe preso provvedimenti, come invece era stato fatto nel caso di Codogno, divenuta zona rossa immediatamente.

Il commento del direttore dell'Istituto di Scienze Biomediche del Sacco, Massimo Galli

Sulle inchieste ha fatto sentire la propria voce anche Massimo Galli, direttore dell'Istituto di Scienze Biomediche del Sacco. "Che i medici di Alzano o di Codogno finiscano per fare i capri espiatori di questa vicenda lo trovo veramente indegno e inaccettabile", ha detto. L'indagine per epidemia colposa, al momento a carico di ignoti, "è estremamente delicata - dice il Procuratore Rota - e va condotta con il massimo della serenità e riservatezza e nel rispetto da un lato delle vittime e dei loro familiari e dall'altro degli operatori sanitari, medici e paramedici, che in questo momento stanno dando il massimo e che contano tra le loro fila operatori che hanno perso la vita".

Le indagini sulle Rsa

Si moltiplicano intanto i fascicoli di indagine: 11 sono stati avviati dalla magistratura milanese sulle morti nelle Rsa, tra cui il Pio Albergo Trivulzio; ieri è stato aperto un fascicolo in Piemonte sulla casa di riposo di Vercelli in cui in tre settimane si sono registrati 35 decessi. A Lodi si indaga invece sulla gestione da parte dei medici di Codogno del Paziente 1, il 34enne che ora sta bene ed è diventato padre.

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