INCIPIT - Il regista torna in libreria con "L'archivio del diavolo" (Solferino), un romanzo ambientato nella provincia italiana del dopoguerra. E a Sky TG24 dice: "Alla mia età si fa i conti con una sorta di quotidiana e ossessiva rendicontazione di ciò che non hai visto e detto, con un senso di inadeguatezza simile a quello che si ha alla vigilia dell’esame di maturità"
"Frequentando le librerie, vedo solo romanzi che provano a blandirti, offrendo al lettore la rassicurazione nel trovare esattamente ciò che si aspetta. Io, invece, ho voluto scrivere un libro faticoso, in cui a dominare è l'imprevedibile o l'inaspettato". Pupi Avati parte da qui per raccontare a Sky TG24 il suo ultimo romanzo, L’archivio del diavolo, pubblicato da Solferino. Una storia gotica con protagonisti due cadaveri, un parroco costretto a fuggire da una promettente carriera perché vittima di un ricatto e, sullo sfondo, la provincia dell'immediato dopoguerra.
"Ognuno di noi - dice il regista a Incipit, la rubrica di libri di Sky TG24 (qui le puntate precedenti) - ha una specie di mondo archetipale che coincide con l’incontro con le cose e con le persone nei primi anni di vita. È quel mondo, che nel mio caso coincide con la realtà contadina della fine degli anni Quaranta, a definirci in modo indelebile quasi fosse un copyright".
"Nella cultura contadina il meraviglioso e l'orrendo sono presenti e contigui"
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Avati parte proprio da quel contesto di più di mezzo secolo fa per imbastire un romanzo in grado di dilatare la realtà, attraendovi una serie di figure e di visioni che a prima vista sembrerebbero assai distanti. A cominciare dalla presenza del Diavolo, "ormai scomparso - dice il cineasta - persino dalle omelie nelle nostre chiese e relegato al bric-à-brac dei decenni passati".
"Nella cultura contadina dalla quale provengo - ricorda - il meraviglioso e l’orrendo erano assai presenti e contigui. Lo stesso tipo di religiosità preconciciliare aveva degli aspetti sorprendenti e improbabili. Queste forme della dismisura del pensiero mi hanno sempre attratto ed è forse per questo che sono rimasto fortemente infantile".
"Sono ancora alla ricerca di tutto ciò che è altro da me"
"Alla mia età - dice Avati - c’è una sorta di quotidiana e ossessiva rendicontazione delle cose che non hai visto e detto, delle persone che non hai incontrato, dei luoghi dove non sei stato, con un senso di inadeguatezza simile a quello che si ha alla vigilia dell’esame di maturità: non ti senti preparato a morire e avresti voluto sfruttare l’opportunità di conoscere il mondo in modo più pieno e completo".
"Per quanto siano tante - conclude l'autore dell'Arcano incantatore - le mie esperienze non mi sono sufficienti per assolvermi. Ed è forse anche per questo che, superata la soglia degli ottant'anni, sono ancora alla ricerca di tutto ciò che è altro da me".