La vita di Churchill racconta quanto la forza di una convinzione possa cambiare la storia

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Filippo Maria Battaglia

IL LIBRO DELLA SETTIMANA Utet pubblica una monumentale biografia scritta da Andrew Roberts in grado di ricostruire una vicenda personale eccezionale, ricca di temperamento, ambizioni e contraddizioni

Il racconto di una vita impone sempre più di una scelta. Nel caso della biografia di Churchill scritta dallo storico Andrew Roberts (Utet, trad. di Luisa Agnese Dalla Fontana, pp. 1406, euro 46), la scelta principale è stata quella di partire da un concetto semplice e potente insieme: destino, o meglio ancora predestinazione.

Come racconta Roberts, infatti, sin da giovanissmo Winston Leonard Spencer Churchill  è stato davvero convinto di essere un predestinato, e quella convinzione è stata probabilmente il principale additivo alla sua vita epica e gloriosa.

Una certezza fondata innanzitutto sul suo ruolo e sulla sua missione, certo: come quando, a proposito della nomina a primo ministro nel maggio 1940 poche ore dopo il Blitzkrieg di Adolf Hitler sull'Occidente, lo statista inglese scrive che gli "sembrava di procedere di pari passo con il destino, come se tutta la mia vita precedente fosse stata solo una preparazione a quest’ora e a questo cimento”.  

Ma una convinzione, suggerisce Roberts, inevitabilmente riflessa anche sul ruolo della propria famiglia e della propria estrazione. Churchill, infatti, nota sempre lo storico, "era consapevole di provenire dal vertice della piramide sociale e che per proseguire l’avanzata non doveva curarsi troppo delle opinioni di persone che stavano sotto". 

Questa consapevolezza, ricorda lo storico, si rivlerà decisiva per i suoi successi e per le sue sconfitte, spingendo molti anni dopo il suo migliore amico, il parlamentare F.E. Smith, a parlare dello statista inglese come di un uomo “corazzato mentalmente contro la sfiducia in se stesso”.

Una biografia ricca di aneddoti e con una salda visione

Il saggio di Andrew Roberts è stato presentato dal Wall Street Journal come “la miglior biografia di Winston Churchill”, e in effetti è uno studio monumentale e imponente che si accosta (e per molti versi supera) alle altre grandi biografie dello statista, a cominciare da quella di Martin Gilbert. 

Roberts ha il merito di ricostruire una storia eccezionale, ricca di temperamento, ambizioni e contraddizioni. E, sopratutto, di farlo attraverso una narrazione sorvegliata a cui non difetta mai una nutrita componente aneddotica in grado di ricordare come il caso, oltre alla consapevolezza di sé, sia determinante nella vita di grandi personaggi.

Un solo esempio, tra i molti: Randolph, il padre di Winston, politico irruente ed esuberante, morirà colpito da una rapidissima malattia mentre è ancora parlamentare. “Se fosse vissuto abbastanza a lungo per ritirarsi dalla Camera dei comuni dopo le elezioni che giunsero sei mesi dopo - ricorda Roberts - quasi di certo avrebbe ricevuto un titolo nobiliare, che presto sarebbe passato al figlio primogenito"; Churchill, probabilmente, "non avrebbe intrapreso la carriera alla camera dei comuni" e sarebbe dunque "stato assai improbabile che diventasse primo ministro nel 1940". Sarebbero bastati pochi mesi e la storia, lascia intendere Roberts,  sarebbe radicalmente cambiata.

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