IL LIBRO DELLA SETTIMANA Il narratore di Bellano imbastisce un collaudato intreccio ambientato in un'immaginaria comunità montana con protagonista un ispettore sottratto alla routine quotidiana
Dettagli, omissioni e psicologia. A voler sintetizzare l’ultima prova del talento narrativo di Andrea Vitali si potrebbe partire da qui. È anche attorno a questi tre fattori che ruota infatti “Il metodo del dottor Fonseca”, il giallo che Einaudi ha da poco portato in libreria nella collana Stile libero (pp. 188, euro 16,50).
Vitali parte su un binario assai collaudato: un omicidio con un colpevole designato, un ispettore riesumato da un lavoro di ufficio routinario, una cittadina sperduta della quale i più non conoscono neanche il nome.
La vittima è una ragazza di 23 anni, "bionda e carina", uccisa a colpi di bastone e che ha condiviso casa e destino con il fratello, “un giovane minorato mentale di qualche anno più vecchio di lei”. È su di lui che si appuntano i sospetti. Sospetti si fa per dire, perché che all’inizio, di dubbi, su questa morte pare ce ne siano pochi.
L'indagine
Sembra un omicidio già risolto, uno di quelli in cui un ispettore del dipartimento centrale deve andare per una formalità, e non è un caso che venga spedito un agente (che è poi la voce narrante di questa storia), ripescato dopo essere stato punito per aver usato impropriamente l’arma in dotazione durante una retata. “Hai tre giorni di tempo” gli dice il capo, “facci fare bella figura” e “non portare armi". Stop.
L’ispettore arriva così a Spatz, millesettecento metri, il centro abitato più grande di uno dei distretti più piccoli dell’intero territorio, “una cacca di mosca a ridosso del confine, incassato fra due montagne”, e quasi subito si fa persuaso che più di un dettaglio non torna.
Imbastisce così un’indagine collaudata, densa di ricerche e di pazienza, in cui servono appostamenti e cazzotti, ma soprattutto occorre “fare come Pollicino”, “sostituendo alle molliche di pane qualcos’altro”.
approfondimento
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Dubbi, indizi e quei magistrali bozzetti
Vitali è come sempre abilissimo nel disvelamento graduale di indizi, nella rivelazione di dettagli, nella descrizione di personaggi; e - a proposito di personaggi - si conferma magistrale in certi bozzetti, come quando si imbatte nella guardia distrettuale, raccontando che “apparteneva a una categoria di essere umani di cui conoscevo bene i meccanismi mentali. Individui semplici, prevedibili, spesso incoscienti della cattiveria che sono in grado di esprimere; convinti di essere onnipotenti perché investiti di un incarico ufficiale; invincibili quando pascolano sul proprio territorio. Il tipo di persona che va bandita”.
Il suo racconto si dipana in poco meno di duecento pagine: lineare, collaudato, incalzante quanto basta. E, come accade quasi sempre nei suoi libri, non delude chi ne segue l’evoluzione. “Tutto bene”, dice il protagonista alla fine del libro. E a quel “tutto bene”, a fine lettura, non può che accodarsi anche il lettore.