Le opere di Giuseppe Gabellone in mostra a Canelli, a Palazzoirreale

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Sabrina Rappoli

Sabrina Rappoli

Photo by Nicola Morittu

L'esposizione presenta un corpus di nove opere, tra sculture e fotografie, oltre a una nuova produzione site-specific, diffuse negli spazi dell’azienda e nelle antiche cantine “Cattedrali Sotterranee” Patrimonio Mondiale dell’Umanità per l’Unesco

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Il nome è evocativo: Palazzoirreale. È incastonato tra le vie di Canelli, nell’astigiano, e custodisce le "Cattedrali sotterranee", luogo non meno suggestivo, ricco di fascino e di storia; sono le cantine della famiglia Bosca, nel 2014 dichiarate Patrimonio Unesco dell’Umanità. Pia, Luigi e Polina Bosca, eredi della casa vinicola che si dedica prevalentemente alla produzione di spumanti, hanno deciso di far rivivere Palazzoirreale dopo alcuni anni di abbandono. Veicolo di questa rinascita, nei locali dove un tempo si lavoravano le uve, è l’Arte, l’Arte contemporanea per la precisione, incarnata in questo caso da una personale di Giuseppe Gabellone nella mostra in corso fino al 28 settembre e prima dalle opere di Patrick Tuttofuoco, altro artista contemporaneo che a Palazzoirreale ha lasciato il segno.

Facciata

Polina Bosca, ideatrice del progetto Palazzoirreale

 

Come è nato il progetto di Palazzoirreale?

Palazzoirreale è un progetto di Arte Contemporanea che nasce dalla mia passione per l’Arte Contemporanea e dalla volontà della mia famiglia di valorizzare questo luogo che è sempre stato sede della nostra azienda, fino a qualche anno fa, e del territorio di Canelli e del Monferrato. La nostra azienda è un’azienda spumantiera che nasce nel 1831 e qui aveva una delle sedi principali. Qua sotto abbiamo anche le nostre cantine, che sono le Cattedrali sotterranee, Patrimonio mondiale dell’Umanità per l’Unesco dal 2014 e attraverso l’Arte Contemporanea vogliamo valorizzare il territorio portando qualcosa che emozioni e che permetta di vedere il mondo sotto diversi punti vista. Quindi, fare un percorso anche interno culturale, proprio.

 

Mostre temporanee, prima con Patrick Tuttofuoco e ora con Giuseppe Gabellone ma c’è anche l’idea di una collezione permanente?

Questo progetto nasce proprio con l’idea di creare anche una collezione permanente e nasce dall’amicizia con diana Berti, che è la nostra responsabile creativa. Con lei stiamo elaborando tante idee per far crescere questo progetto, una delle idee è quella di creare una collezione d’Arte; per questa ragione Patrick Tuttofuoco ha creato quest’opera per il nostro Belvedere, che rimarrà lì, è il faro di Palazzoirreale; Gabellone ha fatto Tramonto scivola, che è un’opera meravigliosa, che rimarrà a Palazzoirreale e la volontà è proprio quella di trovare artisti che creino opere per questo luogo, avendo vissuto il luogo, in qualche modo. Quindi, vengano qua, vedano il paesaggio, la vegetazione, il paese.

 

Si tratta di residenza d’artista?

Non è, attualmente, un progetto di residenza d’artista, anche se l’abbiamo nel cuore e lo vorremmo fare in futuro ma attualmente è proprio l’artista che viene qua, interagisce col luogo, con le persone, con l’azienda, con la nostra storia – perché comunque è una storia lunga – e crea in base al sentimento che ha provato e a quello che si porta dietro da questo incontro. Speriamo di riuscire ad avere sempre artisti che facciano qualcosa che, ovviamente, deve piacere tanto, anche perché acquistare delle opere è sempre un investimento notevole. Però, proprio creare questa collezione che poi sarà fruibile dalle persone del nostro territorio, in modo tale che a Canelli si arriverà non soltanto per le cantine meravigliose che abbiamo ma anche per questo progetto d’Arte che porterà tanta emozione.

Tramonto_scivola
Photo by Nicola Morittu

Giorgio Galotti, curatore Palazzoirreale

 

Quale artista è in mostra stavolta e qual è stata la sfida, da curatore?

L’idea è stata quella di proseguire il percorso avviato già a settembre scorso con Patrick Tuttofuoco, sfruttando questa opportunità che credo sia un’opportunità per tutti: per l’azienda, per il territorio e – ovviamente – per gli artisti che sono invitati a relazionarsi con il luogo. In questo caso è stato inviato Giuseppe Gabellone, che è un artista visivo tra i più apprezzati della scena contemporanea, il quale ha pensato di progettare un’opera che potesse interagire con gli spazi della linea di produzione, gli antichi spazi della linea di produzione, e partire da lì per inserire altri interventi; ben 9 opere che potessero creare un percorso che si estende dagli spazi dell’azienda, fino alle cantine, conosciute come Cattedrali sotterranee. La mostra è una mostra importante, per un artista della sua generazione, non tanto per essere qui ma perché siamo riusciti a creare una forte relazione con il luogo.

 

È un po’ la tua cifra curatoriale, quella di legarti con il luogo dove ti trovi a lavorare?

La mia indole è quella di provare a portare l’Arte fuori dai luoghi deputati all’Arte; quindi, fuori dai musei e dagli spazi convenzionali. L’idea è quella di riportare le visioni degli artisti in luoghi più naturali, più comuni, così come si faceva nell’antichità. Senza paragonarsi ad artisti come Bernini o Borromini, però, quando c’erano quelle committenze, quelle committenze erano pensate per un pubblico di persone anche occasionali. L’idea è stata dall’inizio di intraprendere questa via in modo indipendente per provare a portare un punto di vista differente da quello che già offre l’Arte Contemporanea, in maniera anche molto ambiziosa, in Italia.

Struttura
Courtesy the Artist and greengrassi, London Photos © Sebastiano Pellion

Giuseppe Gabellone, artista

 

Quali opere sono in mostra e cosa l’ha ispirata?

La mostra nasce da questo nuovo lavoro che si chiama Tramonto scivola. Quando Giorgio mi ha proposto la mostra, in realtà era qualcosa che avevo già in mente, che volevo fare ma ci avevo lavorato senza ancora definire bene cosa dovesse essere questo progetto. Quando mi ha proposto la mostra e ho visto il luogo mi sono detto “questo è lo spazio ideale”. A Giorgio è piaciuto il progetto e, quindi, abbiamo cominciato a lavorare su questo quadrato di luce che è come un sole millimetrato, diventa grande e poi, pian piano si riduce, molto lentamente. È un lavoro che ognuno può vivere un po’ come vuole, è un lavoro di scultura, è un lavoro sullo spazio, per cui non si è obbligati a star davanti per forza, a guardarlo ma è qualcosa che si guarda, si va a vedere un’altra opera e intanto è cambiato. Pertanto, fa parte un po’ dell’esperienza che immaginavo rispetto a questo lavoro.

 

Che cosa significa, per un artista, esporre in una zona non propriamente main stream, quanto ai circuiti deputati all’Arte?

In realtà, oggi, i luoghi dell’Arte contemporanea sono un po’ dappertutto, non sono solamente nelle grandi città, per cui questo mi sembrava un bel progetto, un luogo bello e non mi sono posto la domanda.

 

Che cos’è che più la ispira quando crea un’opera?

Non saprei dire con certezza, perché - dopo tanti anni - è un modo di pensare alle cose, per cui ci sono delle cose che mi piacciono e sono per motivo per approfondire, per vedere cosa succede. Io sono un artista che fa molto di più di quello che decide di mostrare, per cui provo una cosa, ne provo un’altra, poi, magari a un certo punto c’è qualcosa che funziona e magari approfondisco.

 

Possiamo dire che l’Arte Contemporanea non si spiega

La mia non si spiega. Quando io ho iniziato, tanti anni fa, a fare Arte, a far mostre, mi innervosivo spesso quando la gente non capiva esattamente quello che io volessi dire. Nel tempo mi sono reso conto che non è così. Alla fine, un lavoro esiste di per sé, quello che dico io è un’informazione in più ma il pubblico, il visitatore, può fare di queste informazioni quello che vuole.

 

Cosa vorrebbe che il visitatore portasse con sé dopo aver visto le sue opere?

Già il fatto che porti qualcosa con sé è positivo. A me interessano sempre poco le mostre che sono molto di impatto ma quando poi esci te le dimentichi. Io vorrei che rimanesse un po’ in testa al visitatore il giallo del tramonto oppure alcune cose che vedrà in questa mostra.

QuadroG
Courtesy the Artist and greengrassi, London Photos © Melissa Castro Duarte

Diana Berti, responsabile creativo di Palazzoirreale

 

Come è nata la sua collaborazione con Polina Bosca?

È partito tutto con un dialogo tra me e Polina Bosca. Lei rifletteva su questi spazi che voleva riattivare, riattivare con un’operazione che non fosse chiusa all’interno dell’azienda. Era molto dubbiosa, perché è uno spazio abbandonato da una ventina d’anni. Quindi, questo voleva dire un investimento economico e temporale che probabilmente rischiava di rimandare il progetto di parecchi anni. A un certo punto lei mi ha fatto arrivare qui, in questo luogo e io me ne sono innamorata e le ho vietato di toccare qualunque cosa. Infatti, appena siamo arrivati qua dentro, la prima cosa che ho fatto fare sono stati degli scatti, che andassero proprio a documentare quello che era lo stato del luogo in quel momento e la presenza dei vent’anni di tempo passati da quando l’azienda si era spostata da qua ed era una presenza fortissima, che aveva mille racconti, mille storie, che non dovevano assolutamente essere perdute. Io sono un architetto e per me l’Architettura ha un fascino particolare; aver visto questi spazi, vissuti dal tempo e dalla Natura, che in molti casi aveva preso il sopravvento, mi ha molto colpita: c’erano dettagli che andavano mantenuti e raccontati.

 

Queste fotografie andranno a far parte di una collezione permanente?

Assolutamente sì. Palazzoirreale è fatto dal luogo, dalle architetture, dal ciclo della natura, dalle persone che ne fanno parte, dalla relazione di tutti questi elementi tra di loro. Quindi, Archiviofuturo andrà a indagare tutti questi ambiti, creerà dei racconti che si sovrapporranno, a volte, fra di loro e che abbiamo attivato all’inizio parlando soltanto dello spazio. Perché all’inizio Palazzoirreale non c’era, c’erano i luoghi.

 

Si occupa anche di scegliere gli artisti che espongono qui di volta in volta?

Io ho scelto il curatore che è intervenuto qua dentro. Per questo luogo e per ciò che avevamo in mente io e Polina, serviva qualcuno che avesse lavorato in maniera un po’ diversa rispetto ai curatori che lavorano all’interno di una galleria, in uno spazio chiuso, all’interno di quattro mura. Serviva qualcuno che aveva una visione che uscisse da quelle mura, perché questo progetto deve uscire da questo luogo. Anche l’opera di Patrick Tuttofuoco che abbiamo messo sopra, che si accende appena scende la luce solare, è una presenza per la comunità sempre costante, che va oltre i confini di questo spazio e la visione del curatore mi serviva che andasse oltre questi confini. Il curatore, poi, ci propone degli artisti e ne  discutiamo insieme.

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