Lo storico firma "Alabama", pubblicato da Sellerio e incentrato su un eccidio razzista avvenuto durante la guerra civile americana. E durante "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24, dice: "Gli aneddoti e gli episodi che si alternano in questa narrazione sono quasi tutti veri. Io ho solo inventato una trama che permettesse di collegarli tutti"
"Tutti i miei libri nascono dall’innamoramento per un periodo e da una fase di folle lettura di ciò che trovo su quell'argomento. A volte capita che decida di scriverci un saggio di storia, altre volte invece ciò che prevale è la voglia di riprodurre la musica, e dunque il linguaggio, di un'epoca. È in quel caso che mi vien voglia di scrivere un romanzo".
Lo storico Alessandro Barbero racconta così a "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24, la nascita del suo ultimo libro, "Alabama", pubblicato da Sellerio e incentrato su un eccidio razzista avvenuto durante la guerra civile americana.
A rievocarlo è Dick Stanton, un reduce sudista immaginario che viene stanato e pungolato da una studentessa alla ricerca della verità. "Immaginario sì, ma fino a un certo punto", puntualizza Barbero che quasi trent'anni fa proprio con un romanzo storico ha vinto il più prestigioso premio italiano, lo Strega. "Sebbene sia inventato, quel personaggio appartiene a un certo reggimento che ha davvero combattuto in una certa battaglia. Non solo. Gli aneddoti ed episodi che si alternano in questa narrazione sono quasi tutti veri. Diciamo che non ho fatto altro che inventare una trama che permettesse di collegarli tutti".
La seduzione per i vinti
Stanton, il protagonista di questa storia, ha combattuto con gli Stati confederati e, nella guerra di secessione, significa dunque che è uno sconfitto. E dato che i vinti generalmente esercitano sempre una seduzione (specie se dalla sconfitta è passato un po’ di tempo), inevitabile chiedere a Barbero i rischi di questa seduzione.
"Oscillano a seconda dei momenti", spiega lui, prima di aggiungere: "Per molto tempo mi sono detto che gli Stati Uniti erano usciti molto bene dalla loro guerra civile: la parte sconfitta aveva riconosciuto che le cose in fondo erano andate bene così e che forse non era il caso di vincerla, quella guerra. Non solo: i sudisti, dopo aver combattuto quattro anni contro la bandiera a stelle e strisce, erano diventati dei patrioti americani lealissimi all’Unione. Insomma, mi sembrava che negli Usa convivesse il ricordo di quella guerra terribile ma anche l’onore per i caduti dalla parte sbagliata, in un contesto però in cui nessuno rimetteva più in discussione quella vittoria e le sue conseguenze, a cominciare ovviamente dall’abolizione della schiavitù".
Una pacificazione che per lo storico si è rivelata presto illusoria: "Dopo che negli anni Novanta abbiamo avuto l’impressione che il problema razziale negli Stati Uniti fosse superato, in questi ultimi anni è riesploso con la drammaticità che conosciamo, rivelandoci come quella storia sia in realtà molto meno pacificata di quanto immaginavamo".