Reggio Calabria celebra Versace: tra miti greci, moda e archeologia

Ci sono i motivi a meandro e la testa di Medusa, i colori accesi del Mediterraneo: il giallo, il rosso, l’arancione, il verde, il blu; ci sono la poetica e l’estro di Gianni Versace, la sua visione artistica, il suo immaginario. La mostra in corso a Reggio Calabria, al Museo archeologico nazionale, intitolata Gianni Versace. Terra Mater. Magna Graecia Roots Tribute, nel titolo evocativo racchiude il senso profondo di questo progetto. Curata dal direttore del Museo Fabrizio Sudano e da Sabina Albano, indaga l’importanza delle origini dell’indimenticato stilista, il suo legame col mondo classico, con la Storia della sua terra, il suo percorso, fino al successo internazionale, cominciato proprio da Reggio Calabria dove Versace era nato 80 anni fa. L’esposizione, che si articola in diverse sezioni, mette in dialogo una selezione di 400 pezzi, tra abiti, complementi d’arredo e materiali d’archivio, insieme con i reperti archeologici della Magna Grecia e della Calabria protostorica, romana, tardo antica e bizantina. Qui, si incontrano perfettamente classico e contemporaneo, testimoniando l’accordo tra mito e moderno, tra passato e presente. Gli abiti, gli oggetti, i reperti archeologici ci mettono in contatto con l’anima di questa terra, Terra Mater, come recita il titolo della mostra, in un tributo alle radici e al fascino travolgente della Magna Grecia. Fabrizio Sudano – Direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e curatore della mostra Gianni Versace. Terra Mater. Magna Graecia Roots Tribute Qual è l’occasione che ci porta qui, oggi? Siamo qui, oggi, perché vogliamo celebrare Gianni Versace in occasione degli 80 anni dalla nascita. Vogliamo farlo come – forse - mai è stato fatto prima a Reggio Calabria: desideriamo celebrare il personaggio, la sua opera e, di riflesso, il patrimonio archeologico calabrese e italiano in generale. Cosa l’ha spinta a portare Gianni Verace all’interno del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria? L’opera di Versace, di fatto, nasce come una rivisitazione moderna della Classicità; forse, è una delle più belle rivisitazioni dell’Arte Classica, in un’Arte Contemporanea qual è la Moda e qual è il Made in Italy. Celebrarlo qui significa far capire quanto, negli anni ’70 e ’80, potevano essere di ispirazione i reperti conservati nelle nostre sale e ciò anche per personaggi incredibili come Gianni Versace. Quindi, coltiviamo la speranza che il mondo classico e il nostro museo, possano essere ancora fonte di ispirazione per tanti altri artisti che frequentano e frequenteranno questi spazi. È stato sfidante, per lei, avvicinare Moda e Archeologia? L’associazione tra Moda e Archeologia non è stata semplice, nonostante il fatto che le opere di Versace raccontino – in modo chiaro ed esplicito – la Magna Grecia, la Calabria bizantina e quella romana. Il coraggio di aver portato abiti, in associazione a reperti archeologici, è cosa che può sembrare scontata ma non lo è stata: di fatto, in un museo come questo, non era stato mai realizzato un progetto di questo genere. Una sfida importante è stata anche riportare, alla propria terra madre, Gianni Versace, cosa che ancora Reggio Calabria non aveva fatto. Come si articola il percorso espositivo? È per tematiche. Intanto, raccontiamo il personaggio; è ovvio che lo raccontiamo attraverso le sue opere e lo raccontiamo attraverso le associazioni archeologiche con i nostri reperti e con i reperti che sono arrivati in prestito, insieme con le opere del grande stilista. I temi principali sono la Città Madre, quindi, la provenienza reggina di Gianni Versace; la sua esplosione mondiale da Milano a Miami, raccontata attraverso il mondo classico e, quindi, con i reperti che sono conservati qui. Di fatto, il fil rouge che unisce tutta la mostra, è proprio il personaggio Gianni Versace. Dalla nascita, all’infanzia, la sua famiglia, gli archivi storici che raccontano di tutta la famiglia, fino all’apoteosi mondiale, il successo internazionale, che lo hanno portato fin dove è arrivato e che purtroppo, ormai, è solamente un ricordo. Che cosa è rimasto di Gianni Versace nel DNA di Reggio Calabria? Versace, in questa città, viene ricordato poche volte; soltanto quando se ne parla a livello nazionale e internazionale per qualche motivo. È un personaggio, forse, troppo dimenticato e noi speriamo, con questo progetto, di aver vivificato il suo ricordo, di averlo riportato un poco in auge e speriamo che, da qui in poi, si possa ripartire con un nuovo capitolo della sua storia. Ci auguriamo che, come stiamo facendo ora, tutte le istituzioni vengano coinvolte: non soltanto nella mostra ma anche nel post mostra. Che cosa si augura, per questa mostra? Mi auguro successo e una visita frequente soprattutto da parte dei reggini. Auspico che tutta la città di Reggio venga a visitare la mostra, perché racconta anche la città. È un lungo racconto che, attraverso la figura di Versace, passa attraverso la città, il museo, il liceo artistico che era qui ospitato e arriva fino alle terme romane, quindi, a tutte le aree archeologiche, raccontate anche attraverso i reperti ritrovati. Vorrei che questa mostra facesse da volano internazionale per il museo, mi piacerebbe farlo conoscere ancora di più nel mondo. Tutto ciò, grazie alla sinergia tra la mostra, la presenza dei Bronzi di Riace e tutte le altre nostre collezioni: vorrei che questo museo fosse valorizzato ancora di più. Tra tutti i reperti in mostra, di quale va particolarmente fiero? Una scelta mia personale è stata quella di esporre – dopo quindici anni - una lastra in gesso, proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Terreti, scavata dal celebre archeologo Paolo Orsi; protagonista del primo allestimento del Museo di Reggio, fu chiusa nei depositi dal 2008, dunque, da allora non più visibile. Il buon restauro che ha avuto, in collaborazione con l’Università di Cosenza, ci ha permesso di restituire questo reperto al pubblico. Visto che non aveva trovato spazio nel nuovo allestimento del 2016, oggi, con la complicità della mostra, poiché si tratta di una lastra in stucco – con motivi decorativi floreali e fregi di animali – lastra che era esposta già ai tempi in cui Versace frequentava questo luogo, si spera che possa aver influenzato lo stilista. Per questa ragione l’abbiamo voluta riproporre e riportarla alla vista e alla fruizione dopo tutti questi anni. Venendo al Museo archeologico nazionale che lei dirige, le chiedo: perché visitare questo museo? Nel periodo estivo siamo fortemente frequentati da comitive di turisti, di bagnanti, di famiglie. Il motivo per il quale si deve vistare questo museo è semplice: racconta l’identità della Calabria, della Magna Grecia, di quella che era la Calabria in Età greca, che – peraltro – sono le nostre radici. Sono le nostre radici e lo si vede in qualsiasi reperto. Si vede nei vasi, perché i vasi raccontano anche i rituali, i modi di fare: alla fine noi non abbiamo inventato nulla. Rivedersi, a distanza di duemila anni, nei reperti che raccontano rituali e modi di fare religiosi, sacri ma anche quotidiani, sulle ricette, sulla tipologia alimentare, sono le cose che ci troviamo adesso, di fatto, sono dei buoni motivi per venire qui a visitare il museo. Lo raccontiamo dalla Preistoria, quindi, dal livello più alto, fino ad arrivare al livello di Reggio Calabria, attraverso le cose più belle e più importanti della Preistoria e Protostoria calabresi, insieme con i due livelli della Magna Grecia, per finire con il livello di Reggio Calabria che è intervallato, ovviamente, dalla visita obbligatoria ai bronzi. Molti di coloro che arrivano qui e vedono soltanto i bronzi, quando sentono parlare gli altri visitatori di tutte le altre collezioni del museo, si pentono di non averlo visitarlo tutto. È ovvio che quattro piani di esposizione non semplici né facili da affrontare, però, si può venire qui anche più volte, quindi, invitiamo tutti a visitare tutto il museo, perché veramente ne vale la pena. Su una delle pareti della sala dove ci troviamo ora c’è un grande mosaico. Di cosa si tratta? Si tratta di un mosaico rinvenuto durante gli scavi successivi al terremoto del 1908, sisma che ha compromesso e devastato tutta Reggio Calabria, permettendo a Paolo Orsi di poter rinvenire diversi lacerti di strutture sia greche sia romane. Il mosaico racconta di un locale termale, perché ci sono degli allenatori che allenano degli atleti. Si vede poco, ci sono delle iscrizioni, ma è un mosaico di epoca romana, le scritte sono in greco perché a quel tempo ancora si scriveva in greco, Quindi, con lettere greche vengono indicati personaggi e tipi di sport che venivano praticati e allenati nell’antica Reggio. Insomma, direttore, visitando il museo si scopre un po’ la vita di quell’epoca? Attraverso i materiali si riesce a raccontare la storia quotidiana, la Storia quella più grande, quella dei popoli, la storia delle città, che viene interpretata attraverso le fonti antiche che sono arrivate fino a noi e noi aumentiamo la conoscenza delle fonti grazie alla cultura materiale vera e propria. Quindi, attraverso le statue, le iscrizioni, le tombe, attraverso i santuari, attraverso le dediche dei fedeli, riusciamo a ricostruire rituali, il pantheon greco, quello romano, riusciamo a capire dove stavano le necropoli, come avvenivano i rituali delle necropoli, come si lavorava, come si stava nelle case, quali erano le abitudini quotidiane, lo riconosciamo e lo attuiamo attraverso i materiali che abbiamo rinvenuto. Riusciremo ancor meglio a raccontarlo quest’anno, alla fine del progetto di accessibilità che stiamo realizzando attraverso i fondi del P.N.R.R., che ci permetterà di essere ancora più flessibili e di spiegare ancora meglio, a livello cognitivo e culturale, le nostre collezioni. I reperti esposti, oltre che dalla Calabria, da dove arrivano? Arrivano tutti dalla Calabria. Nelle collezioni storiche del Museo di Reggio c’era qualcosa della Lucania. Ora non è più esposta, tutto è rientrato alla base, per così dire; il nuovo allestimento del 2016 ha previsto soltanto materiali che arrivano dalla Calabria, un racconto che parte dalla Preistoria e arriva fino all’Età romana, di reperti esclusivamente calabresi. Parliamo dei Bronzi di Riace, direttore. Perché, a suo modo di vedere, questi due individui hanno così tanto appeal sulle persone? Intanto perché sono rari, oltre che belli. Aggettivo, forse, più banale non poteva esserci ma in effetti sono davvero molto belli; poi sono rari e infine sono conservati benissimo. Questo mix di caratteristiche, che sono uniche, perché comunque di queste statue, di questo periodo, della metà del V secolo, al mondo, ce ne sono soltanto quattro o cinque – e due sono da noi – fa crescere moltissimo la curiosità di vederli. Che poi siano una coppia, o siano due statue separate che sono state riunite dal caso o dalla volontà di qualcuno, non lo sapremo mai. Noi possiamo raccontare solamente la loro storia da 53 anni a questa parte; da quando sono stati scoperti nel 1972 ai nostri giorni e raccontiamo di due statue uniche anche dal punto di vista tecnologico, realizzate con dettagli incredibili, come quelli delle vene, delle singole parti del corpo, con uno studio anatomico avanzato, per non dire completo. Dei Bronzi di Riace affascina l’altezza, affascina la possanza fisica e affascina anche il mistero. Chi erano? Chi li ha forgiati? Per quale ragione erano stati realizzati? Dove stavano in origine? Tutto ciò è avvolto dal mistero? Ci sono tante ipotesi, di tantissimi studiosi, però, l’opinione scientifica non è univoca, tra chi sostiene una tesi e chi un’altra. La cosa più logica è parlare di due statue uniche nel loro genere, in tutto il Mediterraneo, che abbiamo la fortuna di avere qui conservate e che, comunque, ancora oggi fanno parlare di loro, per il mistero che nascondono e che speriamo un giorno di poter svelare, associandolo a qualcosa di scientifico. Turisti stranieri ne arrivano, qui, al Museo di Reggio Calabria e arrivano soprattutto per i Bronzi? Sì, devo dire di sì. Noi abbiamo ancora un grande maggioranza di turisti italiani, ma gli stranieri – anche grazie alle nuove rotte dell’aeroporto di Reggio, sono aumentati. Quando arrivano in città, talvolta anche con i gruppi delle crociere, scendono per visitare i Bronzi, soprattutto, e poi il resto. Mediamente quanti visitatori riesce a ottenere, il Museo? Normalmente, siamo attorno ai 250.000 visitatori all’anno, un numero abbastanza costante nel tempo. Statistiche alla mano, è questa la cifra di persone sulla quale siamo attestati. Noi speriamo di aumentarli e non soltanto per fare più numeri e, dunque, più fatturato, ma anche per aumentare l’appeal di attrattore internazionale della Cultura. Questo, vuol dire anche aumentare anche l’attrattività di Reggio Calabria, non soltanto del museo. Cosa si può fare per far sì che l’offerta culturale non si fermi a Napoli e alla Campania e sia, anzi, accentuata anche nelle altre regioni del Sud Italia? Dal canto nostro, per la prima volta quest’anno, abbiamo introdotto un biglietto cumulativo tra le realtà museali statali della Calabria. Quindi, il Museo di Reggio, il Museo di Locri, la Galleria nazionale di Cosenza, il Parco di Scolaci, il Museo di Vibo Valentia, sono legati da un biglietto cumulativo, che è il primo in assoluto che è stati realizzato in Italia, come idea di musei italiani e grazie alla collaborazione tra il Museo di Reggio, la Direzione generale musei, a breve anche con i Parchi di Crotone e di Sibari, saremo la prima regione con un biglietto cumulativo, che consente al visitatore, anche per lungo periodo, di tornare – con un prezzo scontato – negli stessi siti. Questo è anche un incentivo, che vogliamo dare al turista, al visitatore, affinché conoscano le nostre bellezze e il nostro patrimonio e devo dire che, chi viene in Calabria anche per la prima volta, non resta deluso. Se volessimo racchiudere tutto in uno slogan, potremmo senza dubbio dire “Chi viene in Calabria, non viene deluso”.

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Sabrina Rappoli