Nascere e crescere al Polo Nord. Il racconto della vita fra i ghiacci

Christiane è tedesca, ma ha deciso di trasferirsi al Polo vent'anni fa e mettere su famiglia a Longyearbyen. Dal parto all’educazione dei figli, ha risposto alle nostre domande sulla vita quotidiana in un posto così estremo. Come sei finita a Longyearbyen? Ci sono due motivi principali: il primo è che sono sempre stata interessata a studiare biologia e uccelli, il secondo è che sono sempre stata attratta dalla Scandinavia per via dei suoi spazi naturali immensi e disabitati. Ho studiato biologia ad Heidelberg, in Germania, e poi a Tübingen dove c’era la possibilità di fare uno scambio studentesco con la Finlandia. Ci sono andata e lì ho conosciuto delle persone che cercavano lavoratori per una fattoria in Norvegia. Mi è sembrata un’ottima occasione, quindi ho accettato. Parlando del mio futuro con le persone di questa fattoria, ho spiegato che mi sarebbe piaciuto occuparmi di uccelli e che farlo alle Svalbard sarebbe stato molto interessante, così loro mi hanno procurato il contatto con un istituto norvegese che lavorava lassù ed ecco come sono arrivata a fare la mia tesi di Master a Ny-Ålesund, la stazione di ricerca più a nord delle Svalbard. Poi ho fatto un dottorato sulle oche all’UNIS di Longyearbyen, nel 2003, e subito dopo ho iniziato a lavorare come coordinatore delle ricerche. Con il mio fidanzato, attuale marito, che era in Germania, sono stata subito chiara nel dire che io non sarei tornata e avrebbe dovuto raggiungermi lui qui. Beh, si è convinto dato che vivete a Longyearbyen da 20 anni e vostro figlio Mattis è nato e cresciuto al Polo… Sì! Nonostante qualche preoccupazione iniziale legata al fatto che lui è un falegname, fa mobili, e qui alle Svalbard non ci sono alberi, mi ha raggiunta e si è subito innamorato anche lui di questo posto. Per quanto riguarda Mattis, nostro figlio, qui alle Svalbard non si può partorire, quindi lui è arrivato che aveva un paio di settimane di vita. L’ospedale di Longyearbyen non è attrezzato per dare assistenza extra se qualcosa va storto durante il parto, quindi due settimane prima della ‘data presunta’ si deve tornare sulla terra ferma. Io oltretutto ho scoperto di essere incinta mentre mi trovato a Ny-Ålesund e lì la questione è ancora più complicata perché non si tratta di un centro abitato e per spostarsi da lassù, in caso di necessità medica, deve arrivare un elicottero che ti porta a Longyearbyen e poi da lì prosegui con un altro volo. Questo isolamento all’estremo nord non ti ha messo angoscia durante la gravidanza? No, non ho avuto particolari preoccupazioni. La gravidanza è stata bella nonostante io fossi già grande, non ho avuto nemmeno i classici malesseri nel primo trimestre, però ho dovuto chiedere il permesso per poter rimanere lì a lavorare e me lo hanno accordato fino al settimo mese. I norvegesi hanno un approccio molto “sportivo” alla maternità, mi tranquillizzavano dicendo: “sei incinta, non è niente di straordinario”. Quando sei partita per partorire? Tre settimane abbondanti prima della data presunta parto ero già a Longyearbyen e mi si sono rotte le acque, perciò dall’ospedale hanno mandato l’ambulanza con tre persone a bordo a prendermi. Cinque ore dopo è arrivata anche l’eliambulanza che ci ha portati a Tromso. Mio marito è venuto con me perché non c’è stato bisogno di portare l’ostetrica con noi dato che io non avevo le contrazioni; diversamente per lui non ci sarebbe stato posto visto che l’aereo che vola in autunno è già un modello molto leggero che non può portare tanto peso in modo da affrontare meglio le correnti di vento. Una volta nato, Mattis ha avuto il trattamento per i neonati prematuri, soprattutto per i polmoni, e per questo motivo non abbiamo potuto rientrare subito a Longyearbyen, mentre in genere si è autorizzati a tornare alle Svalbard subito dopo il parto. Come hai vissuto i primi anni di vita di tuo figlio Mattis sapendo che il soccorso medico può richiedere ore per arrivare? Se vivi a Longyearbyen, devi essere consapevole che in caso di emergenza potrebbe occorrere diverso tempo. Questo non vale solo per i neonati e i bambini, ma anche per noi adulti. Detto questo però, io credo che vivere a Longyearbyen sia molto più sicuro rispetto ad altri posti in Europa durante un giorno ordinario, basti pensare al fatto che non c’è molto traffico qui. Non dimentichiamoci poi che qui c’è questa comunità dove ci si aiuta moltissimo uno con l’altro. Come fanno i bambini a giocare all’aperto in un territorio dove circolano gli orsi polari? Noi viviamo in una “cabina” che sta fuori dal paese, in pieno territorio degli orsi polari. Abbiamo alcuni cani e questo ci aiuta, perché loro avvisano se sentono l’orso che si avvicina. Quando Mattis è all’aperto a giocare, a parte i cani che sono una sicurezza, io resto sempre di vedetta e controllo continuamente i dintorni. Certo, ora che sta crescendo e chiede continuamente più libertà, la questione si fa un po’ più spinosa, perché non è autorizzato ad allontanarsi da casa da solo, ma anche lui è ben consapevole del pericolo: controlla, sa che deve continuamente guardare cosa lo circonda e comunque abbiamo sempre le dotazioni per allontanare l’orso a portata di mano. Che tipo di stimoli hanno i bambini al Polo? Di certo sono molto diversi da quelli che può ricevere un bambino di Roma, sicuramente la maggior parte arrivano dalla natura. Però ci sono anche quelli legati al via vai di Longyearbyen. Questo non è un posto dove si resta per tutta la vita, quindi c’è sempre gente in partenza e gente in arrivo che porta aria fresca, nuova energia. Oltre a questo, abbiamo amici con i quali andiamo in barca e poi durante le vacanze estive viaggiamo. Mi ricordo che già da piccolissimo, forse aveva tre anni, durante uno stop ad Oslo di sera Mattis ha iniziato a strillare eccitato: “guardate, sta diventando buio!”… da noi invece in estate c’è sempre luce per cui per lui questo rabbuiarsi del cielo era una cosa straordinaria. Ormai ha dieci anni e certamente si rende conto che al Polo ci sono grandi differenze con il resto del mondo, ma ad esempio non ha mai avuto problemi con la notte polare o il sole di mezzanotte. Quali sono i pro e i contro per un ragazzino che vive al polo nord? Longyearbyen, essendo un posto così remoto, ha praticamente tutto quello che può servire e che si possa desiderare. Ci sono tanti piccoli paesini sulla terra ferma che non offrono tutto quello che offre Longyearbyen. Ci sono attività sportive di ogni tipo, festival culturali, c’è modo di imparare a suonare strumenti musicali, c’è la libreria, ci sono concerti, c’è un teatro gestito dai locali e una natura incredibile. Se vuoi essere coinvolto nelle attività, ce ne sono davvero tante. Però Mattis vive in una cabina fuori dal paese, quindi da piccolo ha passato tanto tempo guardando fuori dalla finestra, osservando la natura e i suoi animali. La prima parola che ha detto dopo mamma e papà è stata il nome di un uccello che vedeva volare fuori casa. Poi ci sono le barche che vanno e vengono dal porto, gli aerei in cielo. Lui da piccolo si divertiva semplicemente guardando quello che accadeva fuori casa. La vicinanza con la natura è una grande componente della vita qui. Un altro aspetto che qui è peculiare è che ci si conosce un po’ tutti. Mattis ha iniziato ad andare all’asilo all’età di un anno e ha fatto tutto il suo percorso scolastico qui, quindi conosce praticamente tutti i bambini, che è una cosa bella perché li trovi ovunque vai, dal cinema alle attività sportive. Certo però se ci fosse un problema, non ti trovi bene ad esempio con questo gruppo di amici, o sei bullizzato, non c’è un altro posto dove andare a cercare amici diversi. Va detto però che la scuola lavora moltissimo da subito per la tolleranza e contro il mobbing. Poi c’è un aspetto che è positivo e negativo allo stesso tempo: vivere alle Svalbard è come vivere in una bolla, tutto è molto semplice. Ogni cosa si raggiunge a piedi. C’è un supermercato solo. Il lunedì e il venerdì c’è il club per bambini. Tutto è locale, semplice, c’è poco traffico e la vita in generale non scorre come nel mondo “reale”. Non c’è quasi alcun crimine alle Svalbard. Parlo di bolla perché è tutto molto tranquillo e sicuro. Io penso però che sia importante per Mattis capire che il mondo è fatto in modo diverso. Quando non avevo ancora la famiglia qui facevo parte di questo gruppo del circo e insegnavo ai bambini. Ho visto tanti di loro andare più a Sud dopo gli studi e poi tornare in dietro perché la vita lì risulta troppo stressante per loro. Noi prima o poi andremo via e se Mattis vorrà tornare da adulto, potrà comunque farlo. Fra le note negative c’è sicuramente la distanza dal resto della famiglia e dai nonni. Le videochiamate aiutano molto, sono un buon modo per restare in contatto, perché anche se ogni tanto vengono a farci visita, il viaggio è impegnativo e costoso, quindi si può fare raramente. Mattis ha mai espresso il desiderio di vivere altrove? Una sera, l’estate scorsa, durante uno dei rari giorni in cui era abbastanza caldo per cenare all’aperto, Mattis ha mangiato con noi e poi ha iniziato a correre tutt’attorno, a giocare guardando il mare e improvvisamente è tornato verso me e suo padre e ha detto: “Non abbiamo davvero una bella vita noi qui?” e questa per me è stata la conferma che lui ama stare qui, che ha significato qualcosa di profondo per la sua vita stare così a stretto contatto con la natura, vivere le tempeste di neve, godere di incontri davvero speciali con gli animali selvatici, poter vedere una renna che giocava con il pallone che lui aveva dimenticato nella tundra. Tutto questo lo porterà con sé per il resto della vita e penso sia importante e di valore. Recentemente abbiamo comprato una casa sulla terraferma, sempre in Norvegia, anche quella sopra il circolo polare artico, dove prima o dopo ci trasferiremo e quando parliamo di questa cosa Mattis non ne è felice, lui vorrebbe rimanere qui a Longyearbyen.

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Nadia Cavalleri